Essendo il più giovane, Alcaraz si porta via la gran parte delle attenzioni, ma non è l’unico dei baby spagnoli che punta a un futuro importante. Da quando il circuito è ripreso nell’estate scorsa sta facendo grandi cose Alejandro Davidovich Fokina, che ha mamma russa e papà svedese, ma è nato a Malaga e gioca (volentieri) per la Spagna. Si era parlato della sua storia quando nel 2017 vinse il singolare juniores a Wimbledon, ma da allora nel circuito maggiore non aveva combinato granché. Tuttavia, ha continuato a lavorare a Marbella con Jorge Aguirre, lo stesso coach di sempre, e lo stop forzato per l’emergenza sanitaria gli ha fatto bene: al rientro è arrivato agli ottavi di finale allo Us Open, poi ha fatto lo stesso a Parigi Bercy, e i recenti quarti di finale a Monte Carlo l’hanno portato fra i primi 50 del mondo. Ha lasciato il Principato in lacrime per un infortunio nella sfida contro Tsitsipas, ma certe chance le avrà ancora. Perché malgrado il suo tennis non sia troppo appariscente, nella racchetta conta chi vince, non chi emoziona. Alejandro, con la freddezza tipica di chi ha i geni a metà fra Russia e Svezia, sa come si fa.
È invece spagnolo al cento per cento Jaume Munar, classe 1997, maiorchino come Nadal e uno dei primi a sposare anni fa la sua Academy, dove si allena con Tomeu Salva, l’ex gemello (e tutt’ora migliore amico) di Rafa nei tornei giovanili. Nel 2018 ha giocato le Next Gen ATP Finals, poi è stato numero 52 del mondo, mentre ora è sceso al n.88 e sarebbe fuori dai primi 100 se non si fosse aiutato con qualche Challenger. Tuttavia, il mese scorso a Marbella ha giocato la sua prima finale ATP e sulla terra battuta è un ottimo giocatore. Non diventerà Nadal, e probabilmente nemmeno Carreno Busta o Bautista Agut, ma a fine carriera avrà giocato più di una finale ATP. Sarà quello anche l’obiettivo di Nikola Kuhn, classe 2000, che poteva giocare per la Russia di mamma, la Germania di papà (rappresentata da under) o l’Austria dove è nato, invece ha scelto la Spagna dove risiede da quanto ha tre mesi, nei pressi di Alicante. Quando nel 2017 ha vinto a 17 anni il Challenger di Brauschweig, uno dei più importanti del calendario, sembrava già pronto per sfondare, invece 4 anni dopo il suo best ranking è fermo al numero 174 e nel circuito maggiore ha vinto solo tre partite. Ma il potenziale resta enorme e di tempo a disposizione ne ha ancora molto. Si farà.
Parlando di futuri Nadal, è obbligatoria una menzione per due tennisti che Nadal lo sono dalla nascita, ovvero Joan e Toni, cugini di Rafa. Sono i due figli di zio Toni e di Joana Maria Vives, quei ragazzini che talvolta nel corso degli anni è capitato di vedere nel box dell’ex numero uno del mondo, in particolare durante il torneo di Wimbledon. 16 anni Joan, 18 Toni, hanno fatto il loro esordio a livello internazionale a gennaio, con una wild card nelle qualificazioni dei tornei da 15 mila dollari di montepremi ospitati dalla Rafa Nadal Academy di Manacor. Nessuno dei due è riuscito a guadagnarsi il tabellone principale, e per il momento non hanno classifica ATP, ma indipendentemente da ciò che decideranno di fare in futuro, con quel cognome non passeranno mai inosservati. Con o senza la racchetta da tennis.