OMBRE RUSSE
Non poteva che essere così, altrimenti non si sarebbe presentato a Wimbledon da numero 49 (sua miglior classifica), con una finale ATP in bacheca (Chennai, persa contro Roberto Bautista Agut) e concrete chance di giocare le NextGen Finals di Milano. “Le novità regolamentari? Mah, io sono scarso fisicamente, quindi giocare un set al meglio dei quattro game è un'ottima cosa” ha scherzato Medvedev, che non conosceva la norma sulla libertà di movimento per il pubblico. Gliel'hanno detto i giornalisti, al Queen's. Un'ignoranza che lo rende simpatico, un personaggio naif, con quell'aria un po' dimessa che nasconde ambizioni vere. Sono nate tre anni fa quando la famiglia si è trasferita in Francia, nel paradiso della Costa Azzurra, per seguire la sorella di Daniil, che aveva trovato lavoro proprio lì. Lui si è accodato, ha trovato un club dove allenarsi, un coach monegasco (l'ex giocatore Jean René Lisnard, ma nel suo clan a Londra c'è anche l'ex top-100 Igor Kunitsyn) e ogni tanto ha la possibilità di allenarsi con Novak Djokovic. Dai e dai, è cresciuto fino a diventare una grande promessa (prima) e un giocatore vero (poi). Non è così bello da vedere, ma i risultati gli danno ragione. Lo hanno soprannominato “orso” in virtù del suo cognome (in russo, Medvedev significa proprio questo), ma non sembra un appellativo troppo azzeccato. Fa niente. “Se qualcuno mi avesse detto che avrei battuto Wawrinka, lo avrei preso per pazzo” ha detto il moscovita che non ama Mosca (“C'è troppo traffico, e poi tante piccole cose che rendono complicata la carriera di un tennista”) e che vive una sana rivalità a distanza con Karen Khachanov e Andrey Rublev. La crisi, con tanto di svendita dei migliori giocatori al Kazakhstan, sembra acqua passata. Adesso è ufficiale: dopo quelle di Kafelnikov e Safin, nuove Ombre Russe si stanno affacciando sul circuito ATP.