Riccardo Bisti - 04 July 2017

L'orso di Russia ha baciato l'erba di Wimbledon

La prima impresa dei Championships arriva da Daniil Medvedev, glaciale nel mettere KO un Wawrinka debilitato. Gli fanno i complimenti per la sua calma, ma da junior commetteva una violazione dopo l'altra e aveva sommato cinque mesi di squalifica. Oggi sembra un'altra persona, si allena in Francia e tira due fondamentali privi di rotazione, perfetti per l'erba del 21esimo secolo.

“Ma lo sai che sei proprio un tipo calmo?”. Gliel'avevano detto una decina di giorni fa, ma la riflessione sarebbe calzata a pennello anche nel Day 1 di Wimbledon. Hai voglia a parlare di NextGen, di Race to Milan e faccende simili: fino a poche ore fa, la carriera di Daniil Medvedev non aveva molto da raccontare. Alla sua età, suo omonimo Andrei (con cui non ha legami di parentela: e ci mancherebbe, visto che è ucraino mentre Daniil è russo) aveva vinto molto di più. E aveva ben altra personalità, tanto da essere ricordato come uno dei giocatori più carismatici degli anni 90. Chissà se il timido Daniil metterebbe la firma per ripetere la sua carriera, con una finale Slam e alcuni titoli Masters 1000. Ha pensato a tante cose, ma non a questa, quando stava per battere Stan Wawrinka sul Campo 1, tranciando sul nascere ogni chiacchiera sul possibile Career Grand Slam dello svizzero, peraltro dolorante al ginocchio sinistro. E' sceso in campo con una fasciatura, dopodiché ha strappato via tutto e ha chiamato il fisioterapista. “Metti tanto ghiaccio ai cambi di campo” gli ha sussurrato, senza di meglio da dirgli. Si spiega così, almeno in parte, il 6-4 3-6 6-4 6-1 con cui il russo ha vinto la sua prima partita in uno Slam. “Sul 5-1 al quarto, ho iniziato a pensare a cosa avrei dovuto fare se ce l'avessi fatta”. Alla fine ha scelto di baciare l'erba. “So che c'è chi lo fa dopo aver vinto il torneo, io l'ho voluto fare dopo la mia prima partita vinta in uno Slam”. L'ha fatto con timidezza, senza spontaneità, ma in fondo che problema c'è? Le doti di intrattenitore fanno guadagnare titoli sui giornali, ma non aiutano a vincere le partite.

PASSATO TURBOLENTO
Meglio affidarsi a un gran servizio e a colpi piatti che più piatti non si può, perfetti per l'erba. “Non credo sia facile giocare contro di me sull'erba” aveva detto una decina di giorni fa, dopo il doppio 6-2 rifilato a Thanasi Kokkinakis al Queen's. Insomma, contro Wawrinka (che pure aveva remote chance di salire al numero 1 ATP a fine torneo) è sceso in campo convinto di poter vincere. Detto, fatto. E via i complimenti per il sangue freddo, la capacità di non tremare. “Guardate che ci ho lavorato parecchio, non sono certo la persona più calma del mondo. Nella mia carriera ho avuto un po' di problemi, soprattutto da junior – racconta Medvedev – se commettevi dieci violazioni, venivi squalificato per un mese. Ecco, io ho perso cinque mesi in questo modo. Insomma, non mi comportavo bene. Sono fiero di come sono riuscito a migliorare”. Non racconta l'episodio di un annetto fa al Challenger di Savannah, quando fu vittima di una curiosa squalifica durante il match contro Donald Young. Razzismo, scrissero da più parti. In realtà, era lui a sentirsi vittima di razzismo al contrario. “Sono sicuro che siate amici” aveva detto a una giudice di sedia nera: a suo dire, gli aveva scippato un punto. Squalifica un po' fiscale, in effetti. Nel comunicato post-torneo, la USTA disse che Medvedev aveva messo in dubbio l'imparzialità dell'arbitro (Sandy French) per ragioni razziali. Le scuse immediate non bastarono. L'episodio lo ha cambiato.

OMBRE RUSSE
Non poteva che essere così, altrimenti non si sarebbe presentato a Wimbledon da numero 49 (sua miglior classifica), con una finale ATP in bacheca (Chennai, persa contro Roberto Bautista Agut) e concrete chance di giocare le NextGen Finals di Milano. “Le novità regolamentari? Mah, io sono scarso fisicamente, quindi giocare un set al meglio dei quattro game è un'ottima cosa” ha scherzato Medvedev, che non conosceva la norma sulla libertà di movimento per il pubblico. Gliel'hanno detto i giornalisti, al Queen's. Un'ignoranza che lo rende simpatico, un personaggio naif, con quell'aria un po' dimessa che nasconde ambizioni vere. Sono nate tre anni fa quando la famiglia si è trasferita in Francia, nel paradiso della Costa Azzurra, per seguire la sorella di Daniil, che aveva trovato lavoro proprio lì. Lui si è accodato, ha trovato un club dove allenarsi, un coach monegasco (l'ex giocatore Jean René Lisnard, ma nel suo clan a Londra c'è anche l'ex top-100 Igor Kunitsyn) e ogni tanto ha la possibilità di allenarsi con Novak Djokovic. Dai e dai, è cresciuto fino a diventare una grande promessa (prima) e un giocatore vero (poi). Non è così bello da vedere, ma i risultati gli danno ragione. Lo hanno soprannominato “orso” in virtù del suo cognome (in russo, Medvedev significa proprio questo), ma non sembra un appellativo troppo azzeccato. Fa niente. “Se qualcuno mi avesse detto che avrei battuto Wawrinka, lo avrei preso per pazzo” ha detto il moscovita che non ama Mosca (“C'è troppo traffico, e poi tante piccole cose che rendono complicata la carriera di un tennista”) e che vive una sana rivalità a distanza con Karen Khachanov e Andrey Rublev. La crisi, con tanto di svendita dei migliori giocatori al Kazakhstan, sembra acqua passata. Adesso è ufficiale: dopo quelle di Kafelnikov e Safin, nuove Ombre Russe si stanno affacciando sul circuito ATP.

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