Se qualcuno, magari tra qualche anno, vi dovesse chiedere che differenza c'è tra l'essere un fuoriclasse e l'essere un campione, invitatelo a rivedersi la finale dell'Australian Open 2020. Da una parte un gran bel giocatore, bel servizio, che tira legnate di dritto e rovescio, completo, senza punti deboli. Dall'altra un altro grande giocatore, magari meno bello, ottimo servizio, bel dritto, rovescio spettacolare, completo, senza punti deboli. Beh... non sembra ci sia questa grande differenza no? Calma. Non abbiamo parlato della cosa più importante: la testa, volgarmente detta capoccia. "Dominator" aveva mostrato di averne in abbondanza nei quarti contro Nadal e anche in semifinale contro Zverev. Lo aveva dimostrato anche al Roland Garros, in semifinale proprio contro Djokovic. Ma le finali sono un'altra cosa. E sotto questo punto di vista l'austriaco dovrà mangiare ancora qualche pagnotta prima di arrivare al livello (mentale) dei fantastici tre. Dopo il terzo set della finale, con Djokovic palesemente non al massimo, ha avuto l'imperdonabile torto di pensare che Nole gliel'avrebbe lasciata. Errore madornale. Il serbo, com'è noto, non molla neanche con due matchpoint e servizio contro, figurarsi quando è appena sotto due set a uno. Bazzecole. Thiem si sognerà questa finale a lungo. Un consiglio? Arrabbiarsi con sé stesso, senza pensare che in fin dei conti sia accettabile una sconfitta al quinto con Djokovic. Sarebbe un errore ancora peggiore di quello (tattico) compiuto negli ultimi due set della finale.