L’unico rammarico è per quel 6-5 del primo che poteva sfociare in qualcosa di più. Avesse servito con pettorali più aitanti.. chissà! Amen, verranno anche quelli, tempo al tempo. Ma la conclusione della storia nulla toglie al valore di un giovane in carriera avviato a un luminoso futuro di grande tennista.
Realizzavo tutto questo, nell’atto di seguire la finale di Miami in ossequioso silenzio. Pensavo all’attimo fuggente in cui la scelta dell’agonismo pone l’amletico dubbio di sapere se campioni si nasce o si diventa. Tutto ha inizio quando un bel giorno giovani allievi pronunciano le magiche parole: «Vorrei diventare….».
E’ allora che in imberbi praticanti scatta il pallino di trasformare un’attività di svago in qualcosa di diverso. In Sinner il cambio di passo ha coinciso con la prima adolescenza, allorché decise senza ripensamenti di scendere dalla montagna di San Candido al mare di Bordighera. Accovacciato sotto le ali di Riccardo Piatti voleva provare a se stesso che il tennis offrisse maggiori spazi di manovra rispetto a uno sport come lo sci che in pochi attimi può sublimare o bruciare ore e ore di duro allenamento. Dinanzi al video mi lasciavo andare anche al tentativo di capire cosa fosse esattamente il talento. Senza azzardare conclusioni, che sarebbero risuonate di odiosa saccenza, mi limitavo a guardare quanto giungeva via satellite dalla lontana Florida.
E di fronte a quel po’ po’ di match ho fatto il possibile per captare via via un campionario di psicologia sportiva applicata alla finale di un torneo coi fiocchi. Così, appollaiato su di una poltrona, ho rintracciato negli occhi dell’atesino un pizzico di smarrimento quando, dopo una manciata di minuti, aveva lasciato per strada il brimo break. Ho poi captato un misto di rabbia e frustrazione quando il tie break del primo era finito in quel modo infame. Quindi ho rintracciato una sorta di coraggio in esordio del secondo e profondo disappunto quando l’ultimo punto sanciva il game, set, match del Miami Open 2021. Non proprio quell’ira che Safin e McEnroe avrebbero gestito a modo loro, ma una sorta di contrarietà mista a rammarico presto riportata all’interno di un controllo emotivo che gli ha consentito comunque di essere competitivo e uscire a testa alta dal campo.