Ha fatto molto discutere la nostra inchiesta sui costi necessari per avviare un ragazzo al tennis di alto livello. Parlando con una serie di addetti ai lavori, ci siamo resi conto di quanto sia costoso e non alla portata di tutte le tasche mettere un baby-tennista nelle condizioni di diventare un professionista. Ce lo ha poi confermato Fulvio Fognini, papà del numero 1 azzurro: potendoselo permettere, ha investito una cifra elevatissima per consentire a Fabio di diventare un giocatore. E allora come si potrebbe fare? Nel suo editoriale (pubblicato sul numero di febbraio de "Il Tennis Italiano"), il direttore Lorenzo Cazzaniga propone di estendere a livello pubblico qualcosa che in passato ha funzionato nel privato. In due parole: farsi carico di tutti i costi di crescita di un giovane, salvo poi ottenere una percentuale del montepremi, anche per tutta la sua carriera.
Una volta Emilio Sanchez, ex top 10 mondiale e titolare di una delle migliori accademie europee a Barcellona, mi raccontò una storia, probabilmente inventata, per farmi capire il concetto: «Un genitore è venuto da me dicendomi che voleva investire i suoi risparmi per far diventare suo figlio un tennista professionista. Gli ho consigliato di prendere il primo volo per New York, quindi un taxi fino a Wall Street e poi di chiudere gli occhi. E puntare tutto quella che aveva su un’azione, una qualsiasi, a caso. Avrebbe avuto più chance». Alcuni dati statistici sono utili per capire quanto sia difficile raggiungere quell’élite che raggruppa i migliori cento giocatori del mondo, livello considerato minimo per ottenere un guadagno soddisfacente con l’attività professionistica. Prendendo in esame la classifica ATP di fine 2016 e quella della stagione appena conclusa, vi sono stati 27 avvicendamenti tra i primi cento. Vuol dire che ventisette giocatori sono usciti dagli inferi di chi sopravvive per giungere in una posizione che garantisce un certo guadagno (solo la partecipazione ai quattro tornei del Grand Slam offre una ricompensa che supera i 150.000 euro, lordi). Di questi, nove non avevano mai avuto accesso al Club: Andrey Rublev, Denis Shapovalov, Marton Fucsovics, Laslo Djere, Maximilian Marterer, Stefanos Tsitsipas, Marius Copil, Nicolas Kicker e Tennys Sandgren. Altri cinque, Filip Krajinovic, Yuichi Sugita, Jared Donaldson, Frances Tiafoe e il nostro Thomas Fabbiano, non avevano mai chiuso prima una stagione da top 100. Inoltre, abbiamo preso in esame gli anni di nascita di questi top 100 di fine 2017: sono rappresentate ventuno leve tennistiche, da quella del 1979 (Ivo Karlovic) a quella del 1999 (Denis Shapovalov). Alcune presentano un solo giocatore, la più numerosa è quella del 1987 che ne coinvolge undici, tra i quali il nostro top player, Fabio Fognini. In buona sostanza, quello che Emilio Sanchez voleva spiegare con quella provocazione è che arrivare ad un livello di sostentamento minimo nel mondo del tennis è decisamente complicato; per essere tra quelli che guadagnano cifre doverose dato l’investimento (che dalla nostra inchiesta è emerso possa superare i trecentomila euro, volendosi spingere fino all’attività professionistica), serve essere dei piccoli fenomeni. Quantomeno, in un determinato momento storico, tra i migliori undici del proprio anno di nascita. Se poi si considera che una carriera mediamente può durare quindici anni, possiamo ipotizzare che, per ogni anno di età, non più di 20-25 giocatori riescano a restare almeno cinque anni nei top 100, condizione necessaria per risparmiare qualche denaro. E probabilmente il calcolo è perfino per eccesso. Quindi, dovete immaginare che se non arrivate a questo livello, l’investimento sarà da considerarsi un mezzo fallimento, perché una discreta carriera da giocatore può aprire altre strade (principalmente nell’insegnamento) ma allo stesso modo impedisce tutte le altre, tranne casi eccezionali.