Lorenzo Cazzaniga - 22 February 2018

La proposta: e se Mamma FIT...

L'inchiesta sui costi di avvicinamento al tennis ha evidenziato quanto sia costoso, per una famiglia, finanziare un progetto tecnico che ha pochissime chance di riuscita. Soluzioni? Con l'ausilio di tecnici preparati, la FIT potrebbe sovvenzionare la crescita dei migliori salvo poi ottenere una percentuale dei loro montepremi.

Ha fatto molto discutere la nostra inchiesta sui costi necessari per avviare un ragazzo al tennis di alto livello. Parlando con una serie di addetti ai lavori, ci siamo resi conto di quanto sia costoso e non alla portata di tutte le tasche mettere un baby-tennista nelle condizioni di diventare un professionista. Ce lo ha poi confermato Fulvio Fognini, papà del numero 1 azzurro: potendoselo permettere, ha investito una cifra elevatissima per consentire a Fabio di diventare un giocatore. E allora come si potrebbe fare? Nel suo editoriale (pubblicato sul numero di febbraio de "Il Tennis Italiano"), il direttore Lorenzo Cazzaniga propone di estendere a livello pubblico qualcosa che in passato ha funzionato nel privato. In due parole: farsi carico di tutti i costi di crescita di un giovane, salvo poi ottenere una percentuale del montepremi, anche per tutta la sua carriera.



Una volta Emilio Sanchez, ex top 10 mondiale e titolare di una delle migliori accademie europee a Barcellona, mi raccontò una storia, probabilmente inventata, per farmi capire il concetto: «Un genitore è venuto da me dicendomi che voleva investire i suoi risparmi per far diventare suo figlio un tennista professionista. Gli ho consigliato di prendere il primo volo per New York, quindi un taxi fino a Wall Street e poi di chiudere gli occhi. E puntare tutto quella che aveva su un’azione, una qualsiasi, a caso. Avrebbe avuto più chance». Alcuni dati statistici sono utili per capire quanto sia difficile raggiungere quell’élite che raggruppa i migliori cento giocatori del mondo, livello considerato minimo per ottenere un guadagno soddisfacente con l’attività professionistica. Prendendo in esame la classifica ATP di fine 2016 e quella della stagione appena conclusa, vi sono stati 27 avvicendamenti tra i primi cento. Vuol dire che ventisette giocatori sono usciti dagli inferi di chi sopravvive per giungere in una posizione che garantisce un certo guadagno (solo la partecipazione ai quattro tornei del Grand Slam offre una ricompensa che supera i 150.000 euro, lordi). Di questi, nove non avevano mai avuto accesso al Club: Andrey Rublev, Denis Shapovalov, Marton Fucsovics, Laslo Djere, Maximilian Marterer, Stefanos Tsitsipas, Marius Copil, Nicolas Kicker e Tennys Sandgren. Altri cinque, Filip Krajinovic, Yuichi Sugita, Jared Donaldson, Frances Tiafoe e il nostro Thomas Fabbiano, non avevano mai chiuso prima una stagione da top 100. Inoltre, abbiamo preso in esame gli anni di nascita di questi top 100 di fine 2017: sono rappresentate ventuno leve tennistiche, da quella del 1979 (Ivo Karlovic) a quella del 1999 (Denis Shapovalov). Alcune presentano un solo giocatore, la più numerosa è quella del 1987 che ne coinvolge undici, tra i quali il nostro top player, Fabio Fognini. In buona sostanza, quello che Emilio Sanchez voleva spiegare con quella provocazione è che arrivare ad un livello di sostentamento minimo nel mondo del tennis è decisamente complicato; per essere tra quelli che guadagnano cifre doverose dato l’investimento (che dalla nostra inchiesta è emerso possa superare i trecentomila euro, volendosi spingere fino all’attività professionistica), serve essere dei piccoli fenomeni. Quantomeno, in un determinato momento storico, tra i migliori undici del proprio anno di nascita. Se poi si considera che una carriera mediamente può durare quindici anni, possiamo ipotizzare che, per ogni anno di età, non più di 20-25 giocatori riescano a restare almeno cinque anni nei top 100, condizione necessaria per risparmiare qualche denaro. E probabilmente il calcolo è perfino per eccesso. Quindi, dovete immaginare che se non arrivate a questo livello, l’investimento sarà da considerarsi un mezzo fallimento, perché una discreta carriera da giocatore può aprire altre strade (principalmente nell’insegnamento) ma allo stesso modo impedisce tutte le altre, tranne casi eccezionali.

POSSIBILE SOLUZIONE
Dunque, come ovviare a questo problema che dovrebbe indurre due assennati genitori a evitare di investire cifre importanti nella formazione tennistica del proprio figlio, coscienti che le possibilità di diventare un buon professionista sono evidentemente minime? E senza pensare che quella cifra andrebbe perfino raddoppiata se i coniugi hanno avuto la sfortuna di mettere al mondo due figli, volendo quindi garantire a entrambi le stesse possibilità, anche in settori totalmente diversi. Per risolvere (almeno in grossa parte) il problema, bisognerebbe offrire questa possibilità senza che una famiglia debba rischiare la bancarotta. E qui dovrebbe intervenire la Federazione Italiana Tennis, quell’ente che con eccessiva enfasi viene definita Mamma FIT e che, così fosse, dovrebbe prendersi cura in maniera ben più significativa dei propri figli. Per crescere un giovane talento, con la volontà di arrivare lontano, servono strutture adeguate e tecnici preparati. Il tutto senza dover sradicare il ragazzino da casa (fatto che, nuovamente, gli impedirebbe di crearsi alternative). In un mondo perfetto, e con una federazione come quella italiana che pare abbia accantonato oltre venti milioni di euro e che gestisce un budget annuale plurimilionario, ogni provincia (quantomeno le più importanti e con un’attività tennistica di buon livello) dovrebbe offrire un centro tecnico dotato delle strutture e del personale necessario per offrire ai migliori ragazzi la possibilità di allenarsi adeguatamente e gratuitamente. E questo fin da una tenera età. Le strutture andrebbero poi gestite da tecnici con una formazione tale da essere in grado di accompagnare i giovani talenti, nei vari step, verso l’attività professionistica. La Scuola Nazionale Maestri dovrebbe pensare a formare questo genere di tecnici, non a distribuire targhe da istruttori di primo e secondo livello a persone che poi (sulla carta, perché la realtà è ben diversa) non potrebbero nemmeno stare in campo con i giovani agonisti, senza la presenza di un vero maestro. Che questi istruttori si preoccupino del tennis amatoriale, di promuovere il nostro sport nelle scuole, di tenere legati al circolo gli adulti, sempre fonti di buone entrate. Ma, diamine, senza una classe di tecnici altamente preparata, quanti talenti vengono persi? Certo, è altrettanto necessario che questi tecnici specializzati vengano giustamente retribuiti, altrimenti è normale che preferiscano i 35-40 euro all’ora che gli garantisce la signora che vuole sgambettare un’oretta nell’illusione che quelle trecento calorie perse la facciano rientrare nella small del vestitino della Bouchard. Detto questo, sarebbe comprensibile che la FIT ponesse delle condizioni a fronte dell’investimento: come già successo con alcuni privati (vedi il caso di Ana Ivanovic o di Marat Safin che disse: "Se un amico, di un amico, di un amico non avesse deciso di investire sul sottoscritto quando ero un ragazzino, adesso starei a raccogliere carta straccia a Gorky Park"), troverei giusto che la FIT ricevesse una percentuale prestabilita sul montepremi guadagnato dal giocatore sul quale si è investito. E per tutta la carriera (lasciando discrezionalità nei casi in cui è comprensibile che una giovane promessa preferisca restare ad allenarsi in una struttura diversa: sarebbe il caso di un Liam Caruana, di passaporto italiano ma che vive negli Stati Uniti e si allena in Argentina ma che meriterebbe in ogni caso un supporto economico e logistico). Mi raccontano che un vecchio dirigente disse: «Il tennis agonistico con vocazione al professionismo dovrebbe essere garantito al figlio dell’operaio che non conosce nulla di tennis». Attualmente siamo ben lontani da questo obiettivo. Nella speranza che presto si possano offrire condizioni accettabili (per strutture, competenza e costi) alle famiglie che vogliono offrire una possibilità ai propri figli di diventare tennisti professionisti senza dover rimpiangere tale scelta (fattore scatenante di tante brutte vicende, conosciute o meno, legate al rapporto tra genitori e figli), speriamo che notai e avvocati continuino a restare appassionati di tennis. Ion Tiriac diceva che per diventare campioni bisognerebbe nascere orfani. La realtà è che, per certi versi, sarebbe più facile essendo figli di Ion Tiriac.

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