Lo Us Open non è un torneo come gli altri. È una zona franca, in cui certe regole non scritte (a volte anche scritte) del tennis vengono disattese in nome dello spettacolo, del divertimento, dello show. Alcuni giocatori si esaltano, altri ne soffrono maledettamente. È il caso di Simona Halep, che proprio non riesce a fare amicizia con questo torneo. Eppure si era presentata da (indiscussa) numero 1 WTA e forte di un gran bottino: 17 vittorie nelle ultime 19 partite. Ma New York è un'altra cosa, a maggior ragione se hai il compito di inaugurare il nuovo Louis Armstrong Stadium, peraltro contro un'ottima giocatrice come Kaia Kanepi. Giusto dodici mesi fa, la possente estone giocava il torneo della vita e si arrampicava nei quarti di finale. Oggi è numero 44, segno che nel 2018 ha vivacchiato e non ha ottenuto grandi exploit, al punto da scegliere alcuni tornei minori per restare a galla (in primavera è andata a giocare – e vincere – l'ITF di Brescia). Ma New York le piace, e lo ha dimostrato nel 6-2 6-4 che a meno di due ore dal kick off aveva già buttato fuori la testa di serie numero 1. Un risultato storico: nei 50 anni di Era Open, non era mai accaduto che la favorita del seeding fosse eliminata al primo turno. Nonostante il tifo di parecchi rumeni (c'erano prevalentemente loro, in un Armstrong comprensibilmente semivuoto), Simona ha accusato un forte nervosismo sin dal primo quindici. In effetti, è un punto ricorrente della sua carriera: il primo turno, è spesso il più difficile. In 34 partecipazioni Slam, ha perso per 12 volte all'esordio. Una su tre, percentuale inquietante per una tennista così forte. Per intenderci, a Serena Williams è successo soltanto una volta (Parigi 2012, contro Virginie Razzano).