Riccardo Bisti
29 November 2018

Di Rafa c'è solo l'accademia. Il resto è Munar

Tra le sorprese del 2018 c'è stato Jaume Munar, semifinalista alle Next Gen Finals e prodotto più interessante della Rafa Nadal Academy. Tra gli altri, è allenato da Tomeu Salva Vidal, amico d'infanzia di Rafa. Ma sul campo non ci sono troppe somiglianze con Nadal. “È un grande combattente, ma deve migliorare tanto” dice Salva Vidal.

Ci vorranno tempo e risultati per evitare di essere continuamente accostato a Rafael Nadal. Normale: l'esordio di Jaume Munar nel circuito ATP avvenne per merito del suo mentore. Nel 2014 accettò una wild card per il torneo di Amburgo, ma solo in cambio di un altro invito per il suo conterraneo. Giocarono anche il doppio insieme. Munar viene da Maiorca e, soprattutto, è il prodotto più interessante della Rafa Nadal Academy, inaugurata un paio d'anni fa a Manacor e diretta da Toni Nadal. Classe 1997, Munar è la più fulgida speranza del tennis spagnolo e lo ha dimostrato nel 2018, l'anno delle prime volte. Prima vittoria in un match ATP (a Barcellona, contro Pedro Sousa), prima vittoria in uno Slam (a Parigi, in una specie di passaggio di consegne con David Ferrer) e prima semifinale nel circuito, sulle montagne di Kitzbuhel. Risultati che gli hanno permesso di raggiungere l'obiettivo fissato con i sue due allenatori, Tomeu Salva Vidal (amico d'infanzia di Nadal) e Pedro Clar: chiudere l'anno tra i top-100. Ha fatto di più, artigliando un posto alle Next Gen Finals di Milano. Chi non lo aveva ancora visto si aspettava un terraiolo adattato al veloce, invece abbiamo scoperto un giocatore completo a tutto campo, brillante, piacevole da osservare. Ha raggiunto la semifinale e ha giocato un ottimo match contro Alex De Minaur, tenendolo in campo per due ore e cinque set. “L'obiettivo è stato raggiunto – dice Clar – doveva entrare tra i primi cento e ce l'ha fatta. Abbiamo la sensazione che sia stato un grande anno”. Salva Vidal descrive i pregi del futuro numero 1 di Spagna. “Il suo merito principale è un notevole spirito agonistico. È cresciuto sul piano tecnico, ma ha ancora notevoli margini di miglioramento. Se vuole diventare uno dei migliori, o stabilizzarsi tra i top-50, deve progredire tennisticamente. Questa è una realtà e non vogliamo ingannare nessuno”. Tipica mentalità spagnola: testa bassa e lavorare, senza proclami. Se possibile, senza paragoni.

PICAR PIEDRA
A quelli ci pensano i giornalisti, ingolositi dalla provenienza di Jaume e da quell'amicizia con la leggenda di Manacor. Le somiglianze, tuttavia, finiscono qui. “Per fare un passo in più, non sarà sufficiente giocare ogni punto con grande competitività – continua Salva Vidal – Lui lo sa, è un ragazzo molto intelligente e di buon senso, ma quando ogni giorno ti dicono che sei Superman, c'è bisogno di qualcuno che ti aiuti a tenere i piedi per terra”. L'esatto opposto di quanto accaduto a tanti fenomeni junior, poi evaporati all'esame con il tennis professionistico. Anziché aiutarli a mantenere l'umiltà, li esaltavano ancora di più. Errore fatale. Non c'è questo pericolo con Munar: “Non è talentuoso come Tiafoe o Shapovalov – sottolinea Salva Vidal – basta vederli giocare e capisci subito che hanno un potenziale immenso. Si può dire che quando saranno maturi arriveranno tra i top-10, o magari numero 1. Non è il caso di Jaume: lui è un altro tipo di giocatore, deve lavorare duro”. Salva Vidal utilizza il termine colloquiale "picar piedra", che sta a significare grande dedizione, sforzo massimo per ottenere risultati sul lungo termine. Però c'è qualcosa che lo rende migliore degli altri giovani: l'intensità che mette su ogni punto, una giusta mentalità agonistica. A differenza dei coetanei, fortissimi sul piano tecnico, lui è già maturo su quello mentale. Comunque vada il match, sa soffrire. “Sa combattere nel fango in ogni condizione. È sempre sul pezzo. Ma ricordiamoci che anche lui ha grandi margini di miglioramento. Inoltre, il tennis è la sua vita. Ci si dedica al 100%. Ascolta e ci prova; sbaglia, ci prova di nuovo; se non capisce, continua a provarci”. A suon di buoni risultati (si è anche aggiudicato due Challenger, compreso lo splendido torneo di Caltanissetta) si è costruito un ranking che gli consentirà di giocare gli Slam senza passare dalle qualificazioni. Magari dovrà farlo ancora in alcuni tornei ATP, ma è soltanto questione di tempo. Il suo primo impegno nel 2019 sarà il torneo ATP di Pune, in India, in cui è già ammesso nel main draw.

IMPARARE AD ASCOLTARE
“Quando era piccolo, faticava ad ascoltare – dice il suo coach – l'ho allenato prima che si spostasse a Barcellona ed era molto appassionato, molto competitivo, ma pensava di sapere già tutto. Ogni tanto patisce ancora le conseguenze di quel pensiero”. L'autostima non è mai mancata a Munar, almeno fino a quando non sono arrivate le prime difficoltà e ha capito di non essere bravo come pensava. In quel momento ha rimesso i piedi per terra, ha lasciato Barcellona ed è tornato nella sua isola. La sua fortuna è che si tratta della stessa isola di Rafael Nadal: lui proviene da Santanyi, 30 km a sud di Manacor. La doppia fortuna è che Rafa aveva messo in piedi un'accademia che sembra cucita apposta per le esigenze di Jaume. “Aveva bisogno di tornare nella sua terra, stare vicino alla sua famiglia e avere un gruppo di lavoro che lo aiutasse. Si è reso conto che la carriera nel tour non è semplice come pensava – prosegue Salva Vidal – ha conosciuto il valore dell'umiltà e ha imparato ad ascoltare gli altri”. I miglioramenti sono piuttosto recenti. Fino al Roland Garros, faticava ad ascoltare i consigli dei suoi coach. Inoltre ha la tendenza a parlare più del dovuto e non sapevo controllarsi. La vittoria contro Ferrer, in rimonta, è stato il classico click. “Il cambio si è tramutato in risultati – sottolinea Clar – adesso accetta i momenti negativi, è più tranquillo, dunque gli è più facile prendere le giuste decisioni”. Col tempo, Munar è diventato l'emblema dell'Accademia di Nadal, uno strumento promozionale quasi al pari di Nadal. È l'emblema che da quelle parti si lavora bene, con serietà. Non c'è soltanto apparenza. “Jaume è un gran lavoratore, sia in campo che in palestra, e rispetta molto i suoi allenatori. Inoltre non si tira mai indietro se c'è da dare una mano ai ragazzi”. Il suo atteggiamento ha portato l'accademia a preferirlo a Christian Garin, talento cileno con il quale ha fatto team per qualche tempo. Garin è più talentuoso di lui, ma si perdeva nell'immaturità. Al momento di scegliere, non hanno avuto dubbi. Va detto che anche Garin ha avuto un grande 2018, trovando la sua dimensione in Argentina, con Andres Schneiter. Oggi è numero 85 ATP, ad appena tredici punti da Jaume. Una sfida a distanza che nessuno dei due vorrà perdere.

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