NAOMI VINCE, POI SI SCIOGLIE
La giapponese, da par suo, era intimidita da una situazione più grande di lei. Ha pianto dopo il matchpoint, ha pianto quando è andata ad abbracciare il suo clan, ha pianto anche nelle prime fasi della premiazione. È stata consolata da Serena prima di farfugliare due banalità a Tom Rinaldi, arrivando addirittura a ringraziare un pubblico che era stato profondamente irrispettoso nei suoi confronti. È finita così, con l'immagine che avrebbe dovuto essere nelle prime pagine e nelle home page, mentre probabilmente gli scatti delle sfuriate di Serena Williams avranno maggiore risonanza. Faceva tenerezza, Naomi, quando posava con il trofeo, con un plotone di fotografi davanti a sé. Non sapeva cosa fare, si guardava intorno spaurita. Per lei, ciò che conta e non aver tremato quando la palla scottava e la racchetta pesava quintali. Il tempo è galantuomo e le conferirà il giusto merito per aver giocato un grande match, soprattutto nel primo set, in cui ha spesso punito Serena con grandi soluzioni da fondocampo, ottima regolarità e una fase difensiva sorprendente. Perso il primo game, ne ha vinti cinque di fila facendo capire che sì, in campo c'era anche lei. E che aveva tutta l'intenzione di vincere. Ha dimostrato di essere grande nel secondo set, sia quando ha evitato che il match prendesse un'altra direzione (recuperando da 1-3 a 4-3), sia quando si è trovata a servire per il match in una situazione totalmente surreale. Ha messo in ghiaccio il cervello, salvo poi sciogliersi in modo infantile – e per questo tenero – quando ha realizzato che il suo successo non era stato apprezzato a dovere, che gli americani avevano stabilito che questa vicenda aveva un colpevole: Carlos Ramos. Difficilmente dimenticheremo questa finale. Di certo, Serena continua a non avere un buon rapporto con gli arbitri. Del putiferio del 2009 abbiamo già detto, poi ci sono anche i furti subiti nel 2004 durante la semifinale contro Jennifer Capriati (il match che diede un'accelerata all'utilizzo di occhio di falco), e la sfuriata contro Eva Asderaki nella finale del 2011 con Samantha Stosur, quando le fu contestata la violazione della “hindrance rule”, ovvero la “palla disturbata”. Questi match hanno avuto un unico comune denominatore: li ha persi. Per questo, avrebbe dovuto restare calma e non lasciarsi travolgere da un'onda emotiva inaccettabile per una giocatrice così forte ed esperta. L'aggancio a Margaret Court, dunque, è fallito ancora una volta. Ci proverà ancora. La stella di Naomi Osaka era già nata qualche mese fa: in un surreale pomeriggio a New York, invece, ha iniziato a brillare. Il tempo laverà via anche le nuvole. E tutti capiranno, anche gli avventori dell'Arthur Ashe.
US OPEN DONNE – Finale
Naomi Osaka (GIA) b. Serena Williams (USA) 6-2 6-4