Arriva l'estate americana, laddove il caldo brucia le suole dopo essere stato assorbito dal Decoturf, ed ecco rispuntare John Isner. Con quella faccia da eterno bambino non lo diresti mai, eppure ha già 32 anni. Ma la costanza di rendimento fa pensare che il tempo, per lui, si sia fermato. Appena ha messo piede negli Stati Uniti, ha ripreso a vincere. Prima l'erba di Newport, poi il cemento di Atlanta: 500 punti ATP in due settimane, avversari bucherellati a suon di ace e una dichiarazione che suona come una minaccia. “E' tutto dipeso dal mio rendimento. Credo che avrei battuto diversi top-10”. Nelle prossime settimane, a partire dal Citi Open di Washington, avrà tutte le chance per dimostrarlo. Nel frattempo ha tenuto 75 turni di battuta, uno dopo l'altro, concedendosi solo un attimo di distrazione nella finale di Atlanta, contro Ryan Harrison. Nessun problema: controbreak immediato e vittoria in due set. Con questo successo, si è ripreso il suo posto al numero 1 d'America. Avranno pure tanti giovani promettenti, e nel mucchio qualcuno arriverà, ma per adesso lo Yankee più affidabile resta lui, il ragazzone di Greensboro, North Carolina, ex studente della University of Georgia. Un ragazzone dal cuore d'oro, che ama i cani e non dimentica la famiglia, le tradizioni come il barbecue, ed è rimasto vicino a mamma Karen in momenti difficili. Non vinceva un torneo da due anni: “E questo aveva iniziato a pesare nella mia mente” aveva detto dopo il successo a Newport. Senza più il peso sul groppone, ad Atlanta si è scatenato. E adesso, le sue frasi post-successo suonano come un auto-candidatura. Senza Djokovic, con Murray convalescente e Nadal che in America va a corrente alternata, mai come quest'anno sembra esserci spazio per qualche outsider. E chi, meglio di lui? A ben vedere, gli americani si aspettavano qualcosa di più, specie quando sono rimasti orfani di Andy Roddick nel 2012. L'improvviso ritiro del Kid del Nebraska ha messo a nudo la crisi del sistema yankee: abituati a sfornare un campione dopo l'altro, si sono ritrovati a gioire per una finale al Masters 1000 di Cincinnati nel 2013. “Ma io non mi sono mai sentito come il giocatore che avrebbe portato chissà dove il tennis americano - disse dopo la sconfitta con Nadal - per me è una sorpresa essere il numero 1 del Paese”.