PIATTI E ANNACONE COME MAESTRI
“La grande differenza tra giocatore e coach è che il giocatore è il capo – dice Ljubicic – il giocatore deve avere una grande forza mentale, deve essere un leader, perché sul campo è lui a prendere le decisioni. L'allenatore deve essere bravo a mettere da parte il proprio ego. Deve soltanto aiutare il giocatore a mettersi nelle condizioni di competere meglio ed essere una persona migliore”. Parlando delle sue esperienze, Ljubicic dice di non aver mai pensato né a breve, né a lungo termine. “Il problema è che se non si ha un impatto veloce, potrebbero non esserci obiettivi a lungo termine. Esiste anche la componente fortuna, perché è necessario ottenere risultati all'inizio per ottenere la fiducia di un giocatore. Non è importante il grado di fiducia del giocatore nei confronti del coach: se i risultati non arrivano, allora emergono i problemi”. Da parte sua, Ljubicic ha un vantaggio: essendo stato un tennista di altissimo livello, peraltro in tempi recenti, gli ha garantito un notevole rispetto nello spogliatoio. “Io amo allenare, è la cosa più vicina al gioco. Amo l'adrenalina, a volte le emozioni sono davvero grandi, ma non saranno mai come quelle che si provano sul campo da tennis. Non so possono paragonare: sono simili, ma l'intensità è inferiore”. Oggi Ljubicic ha 38 anni, è giovanissimo, ma è già un coach di livello in virtù dei maestri a cui si è rivolto per imparare la professione. Prima Riccardo Piatti, ma anche Paul Annacone. “Stavo ancora giocando e gli chiesi cosa significare fare l'allenatore. Ero soltanto curioso, e mi disse che la cosa importante è saper ascoltare. Per migliorarsi come allenatore bisogna ascoltare, studiare e guardarsi intorno, perché non sai mai quali informazioni potranno tornare utili”. Secondo Ljubicic, la cosa più difficile è individuare la linea dove bisogna smettere di parlare e limitare il proprio intervento. “Da allenatore, non puoi essere in nessun modo egoista. Semplicemente, non funziona. Devi capire, ed è ancora meglio se un giocatore commette un errore facendo qualcosa di contrario a quello che pensi. È il giocatore a scendere in campo, io penserò sempre che siano i tennisti a gestire lo spettacolo”.