Riccardo Bisti
19 September 2017

Il processo (esagerato) a Guilherme Clezar

Mimare gli occhi a mandorla dopo un torto arbitrale, durante Giappone-Brasile di Coppa Davis, è costato 1.500 dollari di multa a Guilherme Clezar. Più che la sanzione, sorprende la gogna mediatica della stampa brasiliana. Gli hanno dato del “razzista”, indegno di rappresentare il Paese. Onestamente, un'esagerazione.

Guilherme Clezar non pensava di diventare famoso in questo modo. Nel 2010 era stato numero 13 nel ranking ITF riservato agli Under 18. Magari non sperava di diventare un nuovo Guga Kuerten, ma un Fernando Meligeni sì. A oggi, non è mai entrato tra i top-150 e non vince un torneo da quattro anni. Tutti i suoi titoli (due Challenger e cinque Futures) sono arrivati in Brasile. Il ragazzo di Porto Alegre dovrà pagare una multa di 1.500 dollari per “condotta antisportiva” durante il match di Coppa Davis tra Giappone e Brasile. Nel corso del singolare contro Yuichi Sugita, nel tie-break del terzo set (aveva perso i primi due), Clezar è stato vittima di una svista arbitrale: dopo uno scambio intenso, un suo dritto incrociato è stato chiamato fuori. L'occhio elettronico ha mostrato che la palla aveva baciato la riga: Clezar, in un gesto d'istinto, si è “stirato” gli occhi con l'indice, simulando l'occhio a mandorla. Il significato era chiaro: “Caro giudice di sedia, o di linea, vedi tutto con gli occhi di un giapponese”. Senza la TV, non se ne sarebbe accorto nessuno. Ma le telecamere lo hanno “inchiodato”, favorendo un'indagine (!) ITF che si è chiusa con una multa di media entità. Nel suo comunicato, come a giustificare la sanzione, la Federazione Internazionale, ha sottolineato come fossero arrivate le scuse del giocatore. Un'ammissione di colpevolezza. In realtà, il gesto non era razzista e non aveva niente di aggressivo. Semmai, era un segno di frustrazione. La disciplina è importante, ed è giusto che ci siano dei regolamenti, ma la sanzione sembra eccessiva.

LA RABBIA DEI BRASILIANI
In patria c'è chi ha speso un po' di inchiostro per definirlo “razzista”. Addirittura, gli hanno detto che non avrebbe dovuto essere a Osaka. In effetti è il numero 5 brasiliano (attualmente n.241 ATP), ed è stato convocato per l'assenza di Thomaz Bellucci. Qualcuno ha ipotizzato che sia stato favorito dal fatto che Joao Zwetsch, capitano verdeoro, lo abbia allenato in passato. “Se in Brasile qualcuno avesse imitato una scimmia davanti a migliaia di persone, cosa avresti fatto?” ha scritto l'opinionista Joao Victor Araripe, che lo ha apertamente accusato di razzismo, rincarando la dose senza sconti. “Fosse per me, saresti già fuori dalla squadra di Coppa Davis. Non hai rispettato gli avversari, il Brasile e lo sport. Ho amici brasiliani con radici giapponesi, che hanno ritenuto rivoltante il tuo gesto”. Una severità francamente eccessiva. Ha sbagliato, ma il razzismo è un'altra cosa. Un po' come quando Lleyton Hewitt gridò al giudice di sedia: “Guardali, non noti qualche somiglianza?” riferendosi a un giudice di linea e James Blake, entrambi neri. Brutto gesto, aggravato dall'aggressività, ma il razzismo è un'altra cosa. In verità, il weekend di Osaka era iniziato con un piccolo incidente diplomatico con protagonista Rafael Westrupp, presidente della federtennis brasiliana. Durante una cena pre-gara, in evidente stato di euforia dovuto a qualche bicchiere di troppo, ha iniziato a canticchiare “Nishikori, Nishikori” dopo che una cameriera giapponese aveva portato una torta al tavolo della delegazione brasiliana (si festeggiava il compleanno di Zwetsch). In un contesto simile, con la stampa brasiliana per nulla contenta della gestione federale, si è scatenata una viva polemica. Va bene, ma non è il caso di crocifiggere Clezar. I gesti davvero gravi sono altrove. Curiosità: con la vittoria del Giappone, i nipponici sono l'unica squadra con cui l'Italia andrebbe al sorteggio per stabilire la sede in un'eventuale scontro diretto. Contro tutte le altre potenziali avversarie, gli azzurri giocherebbero in casa. Con il Brasile, sarebbe stato “otto su otto”. Speriamo che l'urna di Londra non faccia i capricci.

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