Riccardo Bisti
21 February 2018

Dramma Serena: “Ho rischiato di morire”

Con un crudo resoconto, scritto per CNN, Serena Williams ha raccontato le ore successive al parto. Costretta a un cesareo, è stata di nuovo vittima di un'embolia polmonare e ha rischiato che un grumo di sangue arrivasse ai polmoni. Ambasciatrice UNICEF, ha lanciato un sentito appello per aiutare madri e neonati.

Non è soltanto una delle più forti giocatori di sempre. Serena Williams è anche ambasciatrice UNICEF, ruolo che sente ancor più suo dopo aver dato vita alla figlia Alexis Olympia. Oggi che la bambina ha quasi 6 mesi di vita e Serena è tornata nel tour (ha giocato il doppio in Fed Cup), Serena ha scelto CNN per raccontare il suo dramma legato al parto. “Sono quasi morta” inizia l'articolo della Williams, che per la prima volta fa luce su un periodo molto complicato, cui aveva fatto cenno Patrick Mouratoglou dopo la sua scelta di non giocare l'Australian Open. Adesso, grazie al racconto di Serena, sappiamo esattamente com'è andata. Un'embolia polmonare le ha riaperto la ferita del cesareo, rischiando di far arrivare un grumo di sangue nei polmoni.



​Sono quasi morta dopo aver dato alla luce mia figlia, Olympia.
Eppure mi considero fortunata.
Ho avuto una gravidanza piuttosto facile, ma mia figlia è nata con un parto cesareo d'emergenza dopo che la sua frequenza cardiaca era scesa drasticamente durante le contrazioni. L'intervento è andato bene. Ancora prima che me ne accorgessi, Olympia era tra le mie braccia. È stata la sensazione più incredibile che abbia mai provato nella mia vita. Ma soltanto 24 ore dopo il parto sono iniziati sei giorni di incertezza.

È iniziato con un'embolia polmonare, condizione in cui una o più arterie nei polmoni vengono bloccate da un coagulo di sangue. A causa dei miei precedenti con questo problema, vivo con la paura di questa situazione. Così, appena mi è mancato il fiato, non ho atteso un secondo per avvertire le infermiere. Da qui ci sono state una serie di complicazioni di salute che mi fanno dire di essere fortunata ad essere sopravvissuta. La ferita del parto cesareo si è aperta a causa della tosse intensa che ho avuto a causa dell'embolia. Sono tornata in chirurgia, dove i medici hanno trovato un grande ematoma, un gonfiore di sangue nell'addome. E poi sono tornata in sala operatoria per una procedura che impedisce ai grumi di raggiungere i polmoni. Quando finalmente sono tornata a casa dalla mia famiglia, ho dovuto trascorrere a letto le prime sei settimane di maternità. Sono profondamente grata di avere avuto uno straordinario team di medici e infermieri, in un ospedale con strutture all'avanguardia. Sapevano esattamente come gestire questo complicato susseguirsi di eventi. Se non fosse per la loro professionalità, oggi non sarei qui.

Secondo i centri di controllo per malattia e prevenzione, le donne nere hanno una probabilità tre volte maggiore per cause legate alla gravidanza o al parto. Ma non è un problema solamente negli Stati Uniti. In tutto il mondo, migliaia di donne faticano a partorire nei paesi più poveri. Quando hanno complicazioni come la mia, spesso non ci sono farmaci, strutture sanitarie o medici per salvarle. Se non vogliono partorire direttamente in casa, devono percorrere grandi distanze proprio al culmine della gravidanza. Prima ancora di portare una nuova vita in questo mondo, le carte sono già accatastate contro di loro.
Ecco la realtà di una donna, come documentato dall'UNICEF. In Malawi, Mary James ha camminato ore per raggiungere il centro sanitario più vicino mentre era in travaglio. Esausta, è arrivata alla struttura e ha partorito, ma poi ha perso il bambino lo stesso giorno. Ha scelto un nome per lui, ma il bimbo non ha mai aperto gli occhi. Non ha mai pianto. Lei ha mantenuto quel nome per sè. Purtroppo, il figlio senza nome di Mary non è stato il solo. Sempre quel giorno, circa 2.600 bambini sono morti nel primo giorno di vita. Secondo l'UNICEF, ogni anno muoiono 2,6 milioni di neonati ancora prima che le loro vite inizino davvero. L'oltre l'80% muore per cause prevenibili. Sappiamo che esistono soluzioni semplici, come l'accesso alle ostetriche e a strutture sanitarie funzionali, l'allattamento al seno, il contatto pelle a pelle, acqua pulita, farmaci di base e una buona alimentazione. Eppure non stiamo facendo la nostra parte. Non stiamo affrontando le sfide per aiutare le donne.

Il bambino di Mary è morto perché non c'erano abbastanza medici o infermieri per salvarlo. È un problema cronico che affligge i paesi più poveri. Ma cosa succederebbe se vivessimo in un mondo con abbastanza ostetrici? Un momento senza carenza di accesso alle strutture sanitarie nelle vicinanze? Dove farmaci e acqua pulita sono facilmente disponibili per tutti? Dove le ostetriche potrebbero aiutare e consigliare le madri dopo il parto? E se vivessimo in un mondo in cui ogni madre e ogni neonato possano ricevere assistenza sanitaria a prezzi accessibili e prosperare nella vita? Quel mondo è possibile. Dobbiamo osare di sognarlo per ogni donna nera, per ogni donna del Malawi e per ogni madre. In tutto il mondo, organizzazioni come l'UNICEF si impegnano a fornire soluzioni semplici per ogni madre e ogni neonato. Queste soluzioni includono il reclutamento e la formazione di più medici e ostetriche, garantendo strutture sanitarie pulite e funzionali, mettendo a disposizione i 10 migliori farmaci e attrezzature salvavita. E poi, cosa più importante, consentendo alle adolescenti di richiedere cure di qualità. Ogni madre, ovunque, indipendentemente dalla razza o dallo sfondo merita di avere una gravidanza e un parto sani. E voi potete contribuire a rendere tutto questo una realtà. In che modo? Potete chiedere a governi, aziende e operatori sanitari di fare di più per salvare queste preziose vite. Potete effettuare donazioni all'UNICEF e ad altre organizzazioni in tutto il mondo, impegnate a lavorare per fare la differenza per madri e bambini bisognosi. In questo modo, potete entrare a far parte di questa storia, assicurandovi che un giorno la provenienza non decida la vita o la morte di un bambino.
Insieme, possiamo fare questo cambiamento. Insieme, possiamo essere il cambiamento.

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