Non deve essere stato un Australian Open facile per Alize Cornet. Lo scorso 11 gennaio, a pochi giorni dal via, le hanno notificato l'avvio di una procedura nei suoi confronti per aver violato le norme antidoping. È bene chiarirlo: Alize non è risultata positiva a nessun controllo, però non si è resa disponibile per tre controlli a sorpresa nel 2017. Le norme WADA sono chiare: l'irreperibilità diventa automaticamente una violazione se avviene tre volte in un anno. È ben nota la norma secondo cui gli atleti di alto livello devono garantire la loro reperibilità per una finestra oraria di 60 minuti, per 365 giorni all'anno. In questo modo, gli addetti antidoping possono rintracciarli ed effettuare i vari controlli. Se l'atleta non si fa trovare o non è disponibile per tre volte, può scattare la squalifica. Il caso Cornet non ha particolari precedenti, se non quello di Yanina Wickmayer e Xavier Malisse. Nel 2009, i due belgi furono sospesi proprio per questo motivo. Il tribunale antidoping fiammingo decretò una sospensione di un anno. Tuttavia, i giocatori vinsero un'ingiunzione e furono subito riammessi a giocare. Nel frattempo entrò in scena il CAS di Losanna, coinvolto dalla WADA. L'udienza si sarebbe dovuta tenere nel settembre 2011, ma i giocatori presentarono appello alla Corte Federale svizzera contro la decisione del CAS di accettare la giurisdizione per dibattere del caso (per loro, la vicenda doveva limitarsi al Belgio). L'appello fu respinto, ma nel frattempo la Cassazione belga invalidò la squalifica per ragioni formali. A quel punto, la WADA ha lasciato cadere il suo appello e il CAS ha sospeso la procedura. C'è poi stato il caso di Viktor Troicki, ma era una questione un po' diversa: non si è trattato di mancata reperibilità, bensì di un vero e proprio rifiuto a sottoporsi a un test del sangue. Il serbo si prese un anno di squalifica.