06 November 2009

Suzanne Lenglen, la divina

La storia della mitica giocatrice francese, capace di vincere in carriera 25 titoli del Grande Slam...

Suzanne lenglen, la divina

di Claudio Calza - foto Archivio Storico Tennis Italiano

 

Sull’edizione del 15 giugno 1914 di “Tennis e Golf”, il cronista Marcel Daninos scriveva: “Il ruolo di compione è, di per sé, impegnativo, quello di campione del mondo ancora più pieno di responsabilità. Quanto a quello di ragazzo prodigio è addirittura un fardello che ti porti dietro tutta la vita. A me sinceramente sembra di vedere in Suzanne Lenglen la vera campionessa” .

Questa “petit gamine”, di soli quindici anni, aveva appena vinto il titolo mondiale femminile su terra rossa, battendo in successione l’inglese Satterhwaite, la belga De Borman e le francesi Amblard in semifinale e Golding in finale. Suzanne Lenglen era nata il 24 maggio 1899 e si può dire che fosse già una predestinata, perché il padre Charles, più che la madre Anais,decise presto che la figlia sarebbe dovuta diventare una campionessa di tennis. Per questo le regalò la sua prima racchetta all’età di appena 10 anni. Era più che altro un giocattolo con il quale la piccola si divertiva alternandola all’arco, sport tradizionale in Piccardia, dove i Lenglen avevano una casa a Marest sur Matz. Ma fu in occasione del suo dodicesimo compleanno che Suzanne ricevette in dono una racchetta vera, una Driva Champion.

 

I Lenglen trascorrevano buona parte del tempo sulla Costa Azzurra, a Villa Ariem a Nizza. Qui, sul campo del Parc Imperial, il padre iniziò a farla giocare seriamente a tennis. Per abituarla alla precisione, disseminava sul campo di gioco degli oggetti qualsiasi - cappelli e foulard - che Suzanne doveva imparare a colpire con la pallina, ricevendo in premio, ogni qualvolta faceva centro, una moneta d’argento.

La piccola si allenava durante l’ora di pranzo per non sottrarre spazio agli studi, poi la sera andava a prendere lezioni di danza, perché il padre si rendeva conto che solo con i severi esercizi ai quali erano sottoposti i ballerini la figlia avrebbe rafforzato la muscolatura in maniera efficace. La domenica, papà Charles portava Suzanne ad ammirare i campioni che partecipavano numerosi ai tornei di Cannes, Beaulieu, Monaco e Nizza. Soprattutto la faceva assistere ai tornei maschili, perché per lui era chiaro che la figlia sarebbe diventata una tennista in grado di competere anche con gli uomini. E così fu infatti. Il suo gioco non aveva niente di quello blando e fragile delle giocatrici di allora. Suzanne serviva dall’alto, giocava palle violente e precise e, grazie alla coordinazione acquisita alla scuola di danza, scendeva a rete con rapidità e leggerezza per chiudere i punti. La straordinaria elevazione le consentiva inoltre di raggiungere agevolmente gli ingenui pallonetti che le indirizzavano le sue avversarie, non abituate a fronteggiare un gioco tanto aggressivo.

 

Nonostante queste prerogative, Suzanne non era, come si sul dire, un “maschiaccio”, anzi, era estremamente femminile e curava meticolosamente il suo look. Si vestiva da Patou, avvolgeva i neri capelli con turbanti di tulle dai colori ricercati e indossava rivoluzionari maglioni lunghi. La sua siluette ne risultava così valorizzata a dovere, tanto che la sua avvenenza era proverbiale, a dispetto di un viso non bellissimo.

Villa Ariem era diventata un salotto frequentato da sportivi, scrittori, personaggi dell’alta società. Addirittura Guglielmo V di Svezia era uno dei più assiduo. Un giorno si presentò il grande tennista neozelandese Tony Wilding, campione di Davis della squadra dell’Australasia. Era venuto a chiedere a Suzanne di fare coppia con lei nei tornei di doppio misto. Disputarono assieme un buon numero di incontri, prima che Wilding morisse, l’8 maggio 1915 in una trincea di Neuve Chapelle, in Francia.

 

Il “fenomeno Lenglen”, esploso a Nizza, ebbe la sua consacrazione internazionale nel 1919, quando Suzanne vinse il suo primo torneo di Wimbledon, arrivando a battersi per il challenge round con la sette volte campionessa di Londra, l’inglese Dorothea Lambert Chambers, già quarantenne.

Il 15 luglio, giorno dell’incontro, tutto il bel mondo londinese si diede appuntamento sulle tribune; molti avevano passato la notte davanti ai botteghini per assicurarsi un biglietto. Suzanne aveva vent’anni, la metà di quelli della sua avversaria, quindi erano di fronte due generazioni, due modi di giocare e due mode: vestita in maniera spartana e rigida la campionessa uscente, più civettuola la ragazzina francese, che indossava un leggero abito tutto un pezzo, con le maniche corte, le calze al ginocchio e una fascia sulla fronte intonata ai colori del campo..

Fu un incontro straordinario, che la Lenglen vinse 10-8, 4-6 9-7, passando attraverso momenti difficilissimi, superati anche con l’aiuto di qualche sorso di acquavite fattole arrivare al momento opportuno dal padre in una elegante fiaschetta d’argento. Nel terzo set (si trovava 5-6, 15-40) dovette affrontare anche due match point. Con grande coraggio, li annullò seguendo il servizio a rete e chiudendo con una volée in allungo, un po’ fortunosa e con un perentorio smash.

 

Nel pomeriggio, un cronista inglese telefonò al suo giornale: “Suzanne Lenglen ha aperto una pagina nuova nella storia dello sport femminile”. Quello che il giornalista inglese non poteva nemmeno immaginare era che la ventenne francesina sarebbe stata, da quel momento, letteralmente imbattibile.

Vinse sempre e ovunque, lasciando alle avversarie soltanto le briciole. In modo particolare, Wimbledon la vide trionfatrice, in singolare e in doppio, dal 1919 al 1925; solo due infezioni itteriche e una forte depressione - i segni premonitori della sua salute ormai malferma - la tennero lontana dalle gare nel 1924.

 

Per dare un’idea della sua bissale superiorità, basta citare le performance ai Giochi Olimpici di Anversa del 1920: giocò 64 game, perdendone in tutto 4. Fu invincibile, si è detto, ma in realtà un’eccezione si verificò. Era il 1921 e Suzanne arrivò in America a disputare i campionati degli Stati Uniti a Forest Hills. Afflitta da una crisi d’asma e affaticata da un viaggio per mare disastroso, affrontò nel secondo turno la stella locale, Molla Mallory, una norvegese naturalizzata americana. Perse il primo set per 6-2, poi, sull’1-0 per la sua avversaria, Suzanne, incapace ormai di respirare e senza più un briciolo di energie, si ritirò in lacrime tra i fischi di un pubblico deluso. Molla Mallory divenne così famosa per essere stata l’unica a battere Suzanne Lenglen, anche se in realtà si trattò di un ritiro. E quanto questo successo dell’americana sia stato fortunoso lo dimostrano i risultati dei due incontri svoltisi l’anno successivo tra le due giocatrici: 6-2 6-0 a Wimbledon e 6-0 6-0 a Nizza, ovviamente per la Lenglen. Due rivincite impietose, rabbiose.

 

Nel 1926 Suzanne fu la prima donna della storia a esibirsi come professionista. La fuoriclasse aveva ormai demolito tutte le avversarie che aveva incontrato, per cui fu organizzato un match contro la dominatrice di quel periodo negli Stati Uniti. Helen Wills, una classica, sana ragazzona, sportiva, che aveva già vinto a vent’anni un campionato mondiale indoor a Parigi, tre volte di seguito gli Internazionali d’America ed era stata una volta finalista a Wimbledon. L’incontro, definito il match del secolo, si svolse sul campo dell’Hotel Carlton di Cannes, con le tribune debitamente ampliate, ma in grado di ospitare non più di un migliaio di privilegiati, che avrebbero potuto ben dire: “Io c’ero”.

Suzanne, dall’alto della sua classe e della sua maggiore esperienza, vinse il primo set 6-3 e arrivò a condurre 6-5 e 40-30 nel secondo. Durante lo scambio del match point, la Wills mise una palla molto vicina alla riga, forse dentro, forse fuori. Qualcuno lanciò un urlo che le giocatrici e l’arbitro interpretarono come l’out del giudice di linea, che avrebbe sancito la vittoria della giocatrice francese. Ma Lord Hope, il giudice di linea appunto, dichiarò di non avere aperto bocca e che per lui la palla era buona, per cui l’incontro si riaprì. Suzanne, prima di riprendere il filo del gioco, perse sei punti di seguito tanto da ritrovarsi 6-6. Ma a quel punto il suo gioco ridivenne stratosferico e chiuse 8-6 in suo favore.

 

L’imbattibilità era salva, ma ormai la sua straordinaria vicenda sportiva stava arrivando al capolinea. La salute, innanzi tutto, che peggiorava sempre di più, poi la spietata legge dello sport e della vita che vuole che, ad un certo punto, gli idoli debbano cadere, portarono alla fine della campionessa. Fine che si verificò nel 1926, in occasione del torneo di Wimbledon, il “suo” torneo.

Quel fatidico 23 giugno, gli organizzatori che avevano messo in programma per la Lenglen il primo turno di doppio alle ore 16, aggiunsero all’ultimo momento, senza avvertire ufficialmente l’interessata, anche il secondo turno di singolare alle ore 14. La Lenglen, indispettita e in preda a una violenta crisi di nervi, si rifiutò di scendere in campo per il singolare, nonostante la Regine fosse presente sul palco appositamente per assistere al suo incontro. Si trattò di un incidente gravissimo, al quale i giornali dedicarono addirittura le prime pagine: “Suzanne ha voluto provocare la Regina”. La Lenglen la ebbe comunque vinta e, grazie anche alla mediazione di Jean Borotra, addirittura entrambi gli incontri furono spostati all’indomani, a orari invertiti, cioè iniziando con il doppio che la francese disputò con la sua nuova compagna, quella Elizabeth Ryan, con la quale Suzanne aveva vinto ben sei edizioni di Wimbledon.

 

La Lenglen scese in campo in condizioni psicologiche e perse contro tutti i pronostici dopo aver sprecato due match point. Per sua fortuna, la pioggia fece slittare il singolare contro la Dewhurst al lunedì successivo, però, durante la pausa domenicale, la Lenglen maturò la decisione di abbandonare il torneo. Se ne andò da Londra avversata da tutti: dal pubblico, che le aveva repentinamente voltato le spalle, dalla stampa che la criticò aspramente e dalla stessa famiglia reale che non la volle a corte.

Da quel momento, Suzanne Lenglen si dedicò ai tornei professionistici. Durante una tournée negli Stati Uniti, incontrò il magnate Sharky Baldwin con cui si sposò per divorziare dopo quattro anni. Rientrata a Parigi, aprì una scuola di tennis, che diresse applicando le metodologie proprie della danza, memore evidentemente delle sue esperienze dell’infanzia.

 

Morì di leucemia il 4 luglio 1938. In quei giorni si stava giocando il torneo di Wimbledon e, sulle tribune, gli spettatori leggevano i giornali che portavano le notizie sulle condizioni della campionessa: “Suzanne gravemente malata”, “Poche speranze per Suzanne”, “La Lenglen al suo ultimo incontro”. Ai suoi funerali partecipò tutta Parigi. Due ali di folla ininterrotta lungo tutto il percorso, dalla sua abitazione, in square Pont Laurens, alla chiesa dell’Annunziata. Mentre al cimitero Jean Borotra le dava l’addio con parole commosse, a Wimbledon trionfava, per l’ottava volta, Helen Wills.

Poco dopo, in una via di Nizza apparve una nuova targa: avenue Suzanne Lenglen. L’ultimo omaggio della Francia alla sua irripetibile campionessa.

 

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