E se il coaching diventa violazione di privacy?

L'episodio di Miami, con l'attimo di tensione tra Garbine Muguruza e Sam Sumyk, accende il dibattito sull'opportunità di rendere pubblico il coaching tra tennista e allenatore. Lindsay Davenport è perplessa: “Sembrava una buona idea, ma negli ultimi anni abbiamo visto altro”. Però ormai fa parte dell'intrattenimento....

Esordio difficile, molto difficile, per Garbine Muguruza al Miami Open. La spagnola ha rischiato grosso contro Christina McHale, ma alla fine l'ha sfangata col punteggio di 0-6 7-6 6-4, con annesso matchpoint annullato e break di svantaggio nel terzo. Di questo match, tuttavia, si ricorderà il siparietto tra la Muguruza e coach Sam Sumyk. Non è la prima volta che danno vita a scene di questo genere, ma stavolta sono andati oltre. “Non ti permettere più di dirmi di chiudere quella c.... di bocca” ha detto il tecnico francese, già coach di Victoria Azarenka e Genie Bouchard. L'episodio può anche divertire, ma riapre il dibattito sul coaching in campo. La regola è nota: le giocatrici possono chiedere l'intervento dell'allenatore, una volta per set. Però il coach deve essere microfonato e la conversazione finire in mondovisione. Negli Stati Uniti, il match è stato trasmesso da Tennis Channel, con Brett Haber e Lindsay Davenport al microfono. La ex numero 1 del mondo è rimasta atterrita da quanto visto. La Davenport, che peraltro scende in campo quando a richiederlo è Madison Keys, ha accolto con piacere il gesto di Sumyk, che ha spento il microfono quando il dialogo con la Muguruza si è fatto troppo teso. “Sono felice di quello che ha fatto Sam. Sono lieta del fatto che sia emersa la necessità di intervenire senza microfono”. A parte la (discutibile) spettacolarizzazione del gioco, la Davenport si domanda se sia il caso di rendere pubblico quello che si dicono (nella concitazione del momento) coach e giocatrice. “Davvero vale la pena violare la privacy delle tenniste per soddisfare il bisogno di intrattenimento?” si domanda. In effetti, la Muguruza non sarà stata particolarmente contenta di esporre il proprio disagio al pubblico ludibrio. Da ragazza educata, con dei valori, era quasi in lacrime nel tentativo di chiedere scusa a Sumyk. E' stata una scena triste. “Per questo, penso che bisognerebbe ripensare la faccenda del coaching e l'obbligo di avere con sé il microfono. Forse la WTA dovrebbe pensare di ridurre queste situazioni".

TORNARE INDIETRO SAREBBE POSSIBILE?
Come detto, Sumyk e Muguruza sono noti per aver già avuto qualche screzio (“Dimmi qualcosa che non sappia già!” aveva sbottato lei, circa un anno fa), tuttavia la spagnola nutre grande fiducia nel suo allenatore e si è esposta alla potenziale brutta figura pur di uscire da un momento di difficoltà. Detto che il coaching non è sempre accessibile a tutti (basti pensare a quando parlano in russo, ceco o polacco...), spesso si scoprono aspetti inediti della personalità dei giocatori, andando oltre la tecnica pura. Tuttavia, ci si domanda se sia il modo giusto per promuovere il tennis femminile. “In teoria sembrava una buona idea – dice la Davenport – l'allenatore scende in campo e fornisce un aiuto tattico. Ma nel corso degli anni abbiamo visto che non è sempre così. Capita che momenti personali vengano esposti allo show. Inoltre le regole non sono chiare, perché ci sono tante partite in cui non è utilizzato il microfono. E poi, non sempre le giocatrici lo gestiscono bene”. Detto che le regole sono comunque precise (il microfono è obbligatorio quando il match gode di diretta TV), le riflessioni della Davenport sono interessanti. Il tennis sarebbe meglio senza coaching? Oppure dovrebbe essere mantenuto, ma senza microfono? Sembrano soluzioni migliorative, ma resterebbe il problema dell'entertainment. Il pubblico guardone, ormai, si è abituato a certi teatrini, al punto che la stessa ATP potrebbe prendere in considerazione il coaching per il circuito maschile (peraltro furono proprio gli uomini a introdurlo, in via sperimentale, una ventina d'anni fa). Difficilmente cambierà qualcosa, almeno nel circuito WTA, ma scene simili a quelle viste a Miami non rappresentano un bello spot per il tennis. Forse, addirittura, un autogol.
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