“Vincere aiuta a vincere”, una regola aurea nello sport, un po’ banalotta, ma evidentemente efficace. Gilles Muller pare esserne la conferma e, dopo aver rotto gli indugi a Sydney con alle spalle cinque finali perse, sull’erba di ‘s-Hertogenbosch trova il bis schiantando in un due tie-break – e francamente sarebbe stato assurdo attendersi un diverso canovaccio – il gigante Ivo Karlovic.
VENDETTE
Il trentaquattrenne di Lussemburgo vendica in un sol colpo due dispiaceri: se da una parte Muller riesce ad acciuffare il titolo olandese sfuggito un anno fa proprio all’ultimo atto – contro Nicolas Mahut – dall’altra la rivalsa è di carattere personale contro quel Karlovic che la scorsa estate a Newport gli negò la prima gioia ATP con un palpitante tie-break del terzo set, lungo 26 punti. Le prime tre finali in carriera Muller le ha giocate – e perse – contro tennisti ormai in pensione: Hewitt a Washington nel 2004, Agassi a Los Angeles l’anno seguente e Roddick ad Atlanta nel 2012. Sono arrivati poi i già citati k.o. erbivori contro Mahut e Karlovic. Un percorso da sconfitto che pareva avergli segnato il destino, privandolo di quella gioia necessaria nel poter dire di essere stato il più bravo di tutti, per una settimana almeno. Quando le vittorie arrivano, evidentemente, ne chiamano a sé delle altre: e così, dopo la campagna trionfale di Sydney, è arrivato il successo a ‘s-Hertogenbosch, passando per un’altra finale persa, addirittura sulla terra di Estoril, non propriamente l’habitat naturale del mancino lussemburghese.
FINALE... VECCHIA
Nel giorno in cui viene lanciato – sponda Lione – quel mostro di precocità di Felix Auger-Aliassime, capace di vincere il suo primo Challenger da sedicenne, il circuito ATP fa da contraltare con la finale più anziana da quarant’anni a questa parte, da quando un quarantatreenne Rosewall superò Tom Gorman, dodici anni più giovane di lui, a Hong Kong nel 1977. Carta d’identità a parte, si ha la netta sensazione d’essere di fronte a qualcosa di superato: scambi sostanzialmente inesistenti, tagli mancini, discese obbligate, volée in controtempo, perfino l’outfit di Muller con quei colori di un azzurrognolo slavato sfumati nell’impeccabile all-white – anche se a ‘s-Hertogenbosch ovviamente non impera quel dress code che resiste soltanto a Wimbledon – rimandano a ricordi lontani un ventennio.