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Anche l’Italia ha il suo «Jimbo»

I polpacci del padre calciatore, il carattere deciso dalla madre e una volontà di ferro, necessaria per raggiungere obiettivi importanti. A 20 anni Gianmarco Moroni sta iniziando a farsi vedere a livello Challenger, accompagnato dall'esperienza di Riccardo Piatti e da un sogno (quasi) inconfessabile. Tecnica e attitudine sembrano quelle giuste: il romano è una delle speranze del prossimo futuro del tennis italiano.
Per emergere nel mondo del tennis, coraggio e ambizione sono fondamentali. Un anno e mezzo fa, in questa intervista realizzata dal direttore Lorenzo Cazzaniga e pubblicata sul numero di novembre 2016 de “Il Tennis Italiano”, avevamo scoperto che Gianmarco Moroni i due elementi li aveva entrambi, tanto da non firmare per un futuro da top-50 e sognare addirittura di superare il numero dei titoli Slam di Roger Federer. Al tempo erano ancora 17, mentre oggi sono diventati 20 e il traguardo è ancor più irraggiungibile, ma più che il peso delle sue parole, del ragazzone romano era piaciuta la determinazione. La stessa che da numero 661 della classifica ATP l’ha spinto a mollare i Futures per volare in Sudamerica per due tornei Challenger: a Punta del Este e Santiago. Una scelta che ha pagato: nel primo ha vinto tre match nelle qualificazioni, superato il primo turno e poi si è arreso solamente a Simone Bolelli. Nel secondo, invece, di match ne ha vinti cinque,passando le qualificazioni e poi lasciando le briciole a due ottimi giocatori come Thiago Monteiro e Sebastian Ofner. In premio avrà una sfida con Tommy Robredo, ex n.5 del mondo. Serviranno conferme al rientro in Italia, ma i risultati dicono che il ragazzo è pronto per un deciso salto di qualità, quello su cui Riccardo Piatti scommette da tempo. Per conoscere meglio il ventenne romano, vi riproponiamo l’intervista del novembre 2016.
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Il suo sogno è di quelli che non fanno venire i brividi: «Superare il numero di titoli Slam di Roger Federer». Niente di male, se a parlare fossero Rafael Nadal o Novak Djokovic. Un filo più sorprendente se invece davanti a te, tranquillamente seduti su un campo in erba naturale, c'è Gianmarco Moroni, anni 18, fisico, tecnica e sicurezza nei propri mezzi che promettono molto ma che ancora è costretto a navigare nei tornei Futures.

Due anni fa, sempre al Forte Village Resort, Diego Nargiso mi disse: «Questo ragazzo entrerà nei primi venti giocatori del mondo, facile». Classifica a parte, a che punto del percorso di crescita sei arrivato?
«Beh, lo ringrazio perché quando mi ha visto contro Mager ho perso 6-4 6-2! Comunque penso di essere migliorato molto tecnicamente, ma fatico ancora tatticamente. Però lavoro duro e non lascio niente al caso, questo è sicuro».

Ti alleni nel Team Piatti a Bordighera: ma quanto riesce a intervenire e influenzare la tua crescita, coach Riccardo?
«La sua mano si sente molto, anche se non lo vedo molto, ma tutti i maestri che lavorano a Bordighera sono formati da lui e Massimo Sartori, una sicurezza. Comunque, quando lo vedo, i suoi due, tre consigli fanno la differenza».

Peraltro due coach di successo che amano lavorare tanto sulla tecnica di gioco.
«Sulla tecnica hanno dei punti chiave sui quali non transigono, poi ognuno lavora a seconda delle sue caratteristiche. Io per esempio lavoro molto servizio e risposta che sono due punti chiave del mio gioco perché non amo star lì a correre e remare come facevo due anni fa».

E tu, a quale giocatore ti ispiri, per far capire che giocatore vorresti diventare?
«Per far capire direi Dominic Thiem: cerco di spingere carico e poi di entrare. Purtroppo non gioco ancora così pesante. Qualche volta mi dicono che ricordo Wawrinka, ma io tiro un rovescio pazzesco sul 4-1 in un torneo Futures, lui fuori dal paletto nella finale di Parigi. Direi che c'è ancora un gap da colmare! In ogni caso devo chiudere il punto in pochi scambi, per questo sto lavorando tanto sui colpi di inizio gioco».

Tra i giocatori vieni soprannominato O'Animal per questo fisico imponente: DNA di famiglia?
«Per niente: mamma, papà e sorella sono tutti abbastanza bassi. Solo i polpacci ho preso da mio padre, ex calciatore, mentre il carattere da mia madre: molto deciso, quando c'è una cosa da fare, si fa. Sto lavorando per sistemare questo fisico molto possente perché gli infortuni mi perseguitano: il primo avevo 10 anni, alla spalla; poi uno strappo ai polpacci a 12 anni, quindi agli addominali, poi ancora ai polpacci. Alcuni me li sono meritati perché da ragazzino non facevo stretching e in campo ero talmente preso che non mi fermavo mai, nemmeno davanti al dolore. Però ora lavoriamo tantissimo sulla prevenzione perché anche l'anno scorso ho perso metà stagione per un infortunio e questo ha rallentato la mia crescita. Prima di giocare faccio un'ora di stretching attivo e dopo un buon defaticamento».
Quindi hai uno staff completo che ti segue: poterselo permettere è un fattore determinante per crescere?
«Il maestro è importantissimo perché vede la partita da fuori, capisce dove sbagli e torna in campo con te per allenare quegli aspetti. E poi deve anche essere un amico, così se hai un problema c'è una persona che ti tranquillizza e ti tiene concentrato sul tennis».

Ma quali problemi personali può avere un bel ragazzo in piena salute di 18 anni che punta a diventare un professionista dello sport che ama?
«Quello delle eccessive aspettative. Ne ho parlato a maggio col mio maestro, dopo che avevo perso sempre qui al Forte Village al primo turno contro un tizio 700 al mondo. Però con quella chiacchierata me ne sono liberato e al torneo successivo ho fatto semifinale. Da quel momento ho svoltato».

Ma in partita hai la percezione di quello che stai facendo, dal punto di vista tecnico-tattico?
«Diciamo che in partita vado in trance agonistica. Anche quando le analizziamo, se il maestro mi dice: 'Ti ricordi quel punto sul 3 pari al terzo...'. No, non me lo ricordo di sicuro. Però devo migliorare perché serve tantissimo per crescere tatticamente e mentalmente».

Come ci si può permettere uno staff completo, visto che fin qui il montepremi guadagnato è trascurabile?
«Un po' la famiglia, un po' la FIT, un po' le gare a squadre e presto speriamo anche il prize money. Bisogna pagare maestro, preparatore atletico, fisioterapista, osteopata, nutrizionista e lo psicologo, Alessandro Buson, che lavora al TC Milano, una persona fantastica che mi ha aiutato tantissimo».

Tutto questo perché le aspettative sono alte: come le vive un ragazzo di 18 anni?
«Prima ero molto più insicuro, ora ho imparato a prendere ciò che mi merito. Per questo lavoro tanto, per essere ripagato di questi sacrifici».

Toni Nadal dice che l'unico responsabile di quello che accade nella carriera di un giocatore, è il giocatore stesso: sei d'accordo?
«Al 100%. Io davo molti meriti a chi stava fuori e quando perdevo cercavo un sacco di scuse. Ora ho capito che in campo ci sono io, che mi porto ciò che ho allenato e se vinco o perdo è sostanzialmente merito o colpa mia».

Sempre Toni Nadal dice che i tennisti generalmente non hanno una grande cultura e quindi bisogna trasformare uno sport complicato come il tennis in un gioco semplice.
«Vero. Quando metto in atto la tattica che abbiamo studiato, tutto funziona bene. Poi ogni tanto mi incasino e combino disastri. Io sono sempre stato uno da giocate complicate ma ora abbiamo aperto un nuovo capitolo per rendere i miei schemi più ordinati».
Ordine: sembra la parola giusta per arrivare al tennis di vertice.
«Io prendo sempre come esempio il mitico Dustin Brown e Djokovic. Magari Dustin gioca una volée vincente in tuffo e si grida al fenomeno, però quando vedi Djokovic che spinge e spinge in diagonale, poi ti cambia lungolinea e ti fa sembrare semplice anche una cosa complicata, magari cambi canale e torni a vedere Dustin, ma capisci perché il numero uno del mondo è Djokovic».

Quanto desiderio c'è di lasciare in fretta il circuito Futures?
«Guarda, io non vedo l'ora di lasciare i Challenger dove ancora non ho giocato! Sogno i Masters 1000, gli Slam, il circuito vero».

Se ti dicessi che chiuderai la carriera al n.50 del mondo, firmeresti adesso?
«No. Sinceramente no. Rischierei per arrivare più vicino possibile al mio sogno».

Che sarebbe?
Ci pensa un bel po'... «Se te lo dico, mi prendono per matto... Vorrei battere il record di Slam vinti da Federer... Chiaro che sembra impossibile, ma l'ambizione è necessaria per arrivare in alto. E poi i sogni son sogni, no?»

Ma a cosa saresti disposto a rinunciare per diventare un top player?
«A tutto: soldi, donne, qualsiasi cosa. Se mi dicessero: diventi il più forte di tutti i tempi ma non prenderai mai un euro e vivrai tutta la vita da solo, direi che va benissimo!».

Tennis a parte, come vanno gli studi?
«Uscito con 76 dalla maturità, a posto».

E le ragazze?
«Non sono uno da una notte e via. Mi sono lasciato con Anna Turati, una giocatrice che ora è andata al college negli Stati Uniti. Però sono consapevole che una ragazza deve capire la mia professione: se comincia a pressare per andare alle Maldive, poi alle Bahamas, la sera stessa sono single. Son fatto così, il tennis è la mia vita».
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