Simone Vagnozzi racconta le sensazioni dopo la vittoria in semifinale da parte di Sinner, e di come andranno a preparare l’ennesima sfida con Alcaraz

Simone Vagnozzi arriva nel ‘media garden’ a mezzanotte, assediato da telecamere, microfoni e taccuini. In campo è stata una semifinale pià turbolenta del previsto, «ma ogni tanto – dice – match come questi servono. E’ una ruota che gira, e ti senti un po sballottato. Ma la terza finale Slam di fila è qualcosa di incredibile: colpa di Jannik che ci ha abituati male, perché non sono cose normali».
Poi una sorta di bollettino medico sulle condizioni di Sinner: «Ha avuto un piccolo fastidio agli addominali, che è migliorato subito con l’intervento del fisioterapista (a fine secondo set, ndr), anche se ancora per qualche game non ha voluto forzare, ma alla fine è andato sempre meglio».
Oggi sarà giorno di riposo e di riflessioni tattiche, «perché sicuramente rispetto a Wimbledon Carlos cambierà qualcosa. Ci sono continui aggiustamenti, anche a partita in corso, poi è Jannik che è diventato più ‘tattico’: fino a due anni fa badava soprattutto a se stesso, adesso guarda anche all’avversario».
Ma dei consigli ha sempre bisogno, anche se ripete spesso che in campo è il giocatore a decidere, a volte contri quello che gli dice il coach. «Contro Aliassime a un certi momento ha giocato troppo in centro, da dove Felix può giocare il diritto a sventaglio. Noi gli abbiamo detto di usare più rotazione, e di servire più ‘kick’, ma anche per via del disturbo agli addominali faceva più fatica a inarcarsi».
Jannik è alla quinta finale Slam consecutiva, ma i margini per crescere ci sono sempre. E non sempre riguardano tattica e tecnica. «Gli ho detto che deve avere una faccia da poker – sorride Vagnozzi – a volte bisogna non far trapelare le emozioni e i momenti di difficoltà per non favorire l’avversario».
E poi calare l’asso vincente.

