Il tennis italiano e internazionale aveva iniziato a seguirlo, come giornalista-fotografo, per Matchball, la rivista nata nel 1970, poi era passato a Tennis Italiano, seguendo centinaia di tornei. Era un tennis diverso, quello che aveva conosciuto Ettore nei suoi anni ruggenti: più vero, più genuino. Indimenticabile. «E pensare», scriveva nel 2005, «che fino a non più di quindici anni fa nel mondo del tennis eravamo tutti come in una grande famiglia. Ci si conosceva tutti, ci frequentavamo anche lontano dai campi di tennis, si trovava il tempo per divertirsi con festicciole e serate in discoteca (tornei di Roma e Monte Carlo docet). Personalmente mi vanto di essere stato amico di tanti giocatori, italiani e stranieri. E non parlo di mezze figure, ma di campioni che hanno fatto la storia del tennis mondiale, dall’inizio dell’Era Open in poi: Ilie Nastase, Manolo Orantes, John Newcombe, per arrivare a Guillermo Vilas, Bjorn Borg, Vitas Gerulaitis, Ivan Lendl, Victor Pecci, Josè Luis Clerc, Yannick Noah, Pat Cash (che mi aveva definito il suo portafortuna per avergli fatto un servizio fotografico per la Tacchini a Londra la settimana prima del torneo di Wimbledon da lui vinto), Andres Gomez e tantissimi altri».
Quando sono entrata a far parte della famiglia di Tennis Italiano, nel 2006, Ettore aveva iniziato a frequentare meno assiduamente la redazione, ma le sue visite erano sempre uno spettacolo.
Teorico della “terza corsia” in strada (dove ci stanno due auto, in mezzo, una terza ci può sempre passare), fedelissimo della Juve (guai a parlarne male davanti a lui), devoto alle abitudini: in trasferta a Roma, ogni anno, lui sceglieva il ristorante (sempre lo stesso per tutta la settimana), lui stabiliva l’orario, non importa chi fosse di scena in campo o chi dovesse ancora terminare un pezzo: il rispetto del programma era una regola d’oro.
Ettore è stato un uomo di grande compagnia, profondamente umano. Inconfondibile con la sua sagoma in sala stampa, o durante le conferenze a cui non faceva mancare mai una delle sue classiche domande. Era anche un amante dell’opera, e un formidabile compagno di viaggio, sempre pronto ad allietare una cena con un aneddoto pieno di arguzia padana, da piacentino (era nato a Castel San Giovanni) da tanto tempo trasferito a Milano.
Alla figlia Monica e a tutta la sua famiglia vanno le condoglianze di tutta la redazione.