In attesa di rivederlo presto in campo, abbiamo ripercorso la carriera di Rafael Nadal, evidenziando gli “incroci” del suo percorso, per analizzare la strada intrapresa e come invece avrebbe potuto essere

Un tipo da combattimento! Avesse scalpitato nel ‘siglo de oro’, Calderon de la Barca ne avrebbe fatto un personaggio tutto Cappa e Spada. Riordinando le idee, invece, scopriamo che è un eroe dei nostri tempi battezzato, un lontano giugno dell’86, come Rafael Nadal Parera da Manacor. Proprio lui, il picchiatore coi lineamenti da indio, che vive il tennis come una sfida medievale e ha ghiandole surrenali tanto prolifiche da produrre adrenalina in quantità industriale. Il Padreterno lo ha dotato di tale attitudine alla lotta da suscitare invidia anche a qualche pellaccia di incallito boxeur. Purtroppo il Buon Dio non si è allargato oltre e mentre ha abbondato in qualità fisiche e mentali ha lesinato su quelle tecniche nella certezza, naturalmente, che qualcuno se ne fosse fatto carico.

Eccolo il volto arcinoto di un aristocratico palmares che tracima orgoglio per quei 92 titoli ATP colti su ogni superficie pur coltivando un debole per la terra color mattone.

E’ bastata una dichiarazione di rientro per mandare in fibrillazione l’intero mondo racchettaro. Nessuno sa, naturalmente, se lo spagnolo tornerà al suo miglior tennis, quel che sappiamo è che conoscendo il tipo, ce la metterà tutta visto che dal combattimento trae la sua filosofia di vita. Tanto profonda da suscitare la domanda dalle cento pistole: un Nadal con un tennis più vario sarebbe stato ancora più forte?’ E nel farla mi chiedo se mai qualcuno abbia veramente indagato sulla possibilità di farne un giocatore più completo e dunque meno dispendioso sotto il profilo fisico. In tempi non sospetti scrivevo che senza qualche correttivo, la carica agonistica del nostro eroe sarebbe stata, paradossalmente, anche la sua croce poiché dietro di essa si andava rintanando l’errore di pensare che ‘il resto vien da sé’.

Pensieri dietro ai quali non c’era nessun piglio del bastian contrario ma covava una riflessione terra terra circa la carriera sportiva del giovane campione. Per dire che fino ai 12 anni il mancino di Spagna ha fatto tutto giusto praticando altri sport, tra cui il calcio, e giocando a due mani ambo i colpi all’insegna della migliore multilateralità. Solo più tardi ha optato istintivamente per la sinistra relegando a balla spaziale la leggenda metropolitana che qualcuno l’abbia voluto mancino a tutti i costi.

Gli errori iniziano nel periodo under 14 quando il piccolo Rafa sviluppa colpi istintivi e fa man bassa di tornei di categoria cogliendo successi sia nel campionato spagnolo che in quello europeo. Il classico ragazzino prodigio guardato con ammirazione per quel modo di rincorrere la palla col coltello tra i denti sbagliando il minimo sindacale. Un balocco da lasciar girare a ruota libera, senza azzardare ritocchi che avrebbero potuto incriccare il prezioso meccanismo: colpire, colpire… e solo colpire, il resto arriverà! In quest’ottica l’imberbe tennista inforca la scorciatoia di un tennis fatto di poche cose ma di marcata intensità agonistica approdando tra i pro dopo aver sfiorato l’attività junior.

I suoi allenatori viaggiano sul velluto mandando in campo una pentola a pressione capace di giocare punto su punto con i globuli rossi armati di bazooka. Allettati dai risultati, nessuno cede alla curiosità di coltivare un tennis migliore in luogo di quello eccessivamente dispendioso che prima o poi avrebbe presentato il conto. Così il giovane Nadal, finisce in un seminato che inizia a dare buoni frutti guardandosi bene dal provare strade diverse, magari minate da qualche incognita. Lo stile intrapreso impone una massiccia costruzione fisica lì dove l’età evolutiva consiglierebbe una certa cautela. Il paradosso inizia a farsi strada e nel momento in cui il bagaglio tecnico dovrebbe arricchirsi di altre cose, la gallina dalle uova d’oro non dà spazio ad altre riflessioni, rincorso da sponsor nel mentre che a 16 anni svolazza già tra i primi 100 del mondo. Nella tipologia dei giocatori, Nadal cresce come un’evoluzione di Vilas e Muster senza che qualcuno cercasse di scoprire se in quel guerriero ci fosse anche qualcosa di Connors, Mc Enroe o Rod Laver.

Le prime avvisaglie iniziano assai presto, e un’infiammazione al gomito arriva appena dopo la sua prima vittoria al torneo di Barletta del 2003. Dopodiché voleranno via un susseguirsi di cambiali in scadenza: ben 22 distribuite in altrettanti anni di carriera. Tanti ritiri e altrettanti ritorni, tutti trionfali: un’Araba Fenice capace di risorgere da malanni tanto maledetti da incenerire chiunque altro al suo posto. Ora l’annuncio del rientro in Australia con la speranza di tornare al suo miglior tennis.

L’ennesima sfida, dunque, dalla quale lo spagnolo non si tirerà certo indietro anche se questa lunga sosta fuori dai giochi sarà più tosta che mai da recuperare. A poco serviranno i 4900 giri al minuto impressi alla palla da un diritto ad alta cilindrata se non saranno seguiti da qualcos’altro di più saettante. Come a poco serviranno i “vamos” tra un punto e l’altro e un linguaggio del corpo da coraggioso gladiatore. Autostima e motivazioni faranno il resto. E alla fine di un primo trimestre sapremo se stiamo parlando ancora del duellante degno di Calderon della Barca o dell’ombra acciaccata di un corpo dal cuore generoso ma dal tennis un po’ avaro. E con un pizzico di rammarico la domanda sarà sempre la stessa: Nadal poteva diventare più forte?