L’Italia chiude la campagna al Roland Garros con tre finali e una semifinale. Un risultato eccezionale, che in vista dei Giochi di Parigi potrebbe anche migliorare…

foto Ray Giubilo

Dalle facce, in sala stampa sembra che ci sia morto il gatto. Ce ne andiamo da Parigi con zero tituli, zero trofei, dopo che a metà settimana l’Italia sembrava padrona di Parigi, con l’ambizione e la possibilità concreta di piazzare azzurri in tutte le finali.
Con la sconfitta di Sara Errani e Jasmine Paolini contro le toste ma non trascendentali Gauff e Siniakova è sfumata invece anche l’ultima chance. Un flop? Una delusione? Un fallimento?
No, anzi. Non si tratta di auto-assolvere la nostra spedizione ma di guardare in faccia la realtà. Per due settimane i colleghi di tutto il mondo non hanno fatto che chiederci qual è il segreto del tennis italiano. Non solo del rendimento delle punte – Sinner, Paolini – ma anche delle seconde e terze linee, dei giovani, delle coppie di doppio.
E noi ad affannarci a spiegare a distinguere, a buttare lì che programmazione e contingenza ci stanno dando una mano, che l’atteggiamento non più ostile ma collaborativo della Federazione si è unito al grande lavoro dei coach privati, delle piccole e grandi academy, e soprattutto alla nascita di una serie di talenti che nei decenni scorsi erano mancati e alla grande quantità di tornei di piccole, medie e grandi dimensioni organizzati in Italia, che consentono ai nostri di migliorarsi, di allenarsi, di crescere senza dover spendere troppo e girare per il mondo come capita ad altri.
Il paradosso di questo Roland Garros è che la nazione più presente nella seconda metà del torneo non è riuscita a raccogliere una vittoria. Ma resta una superpotenza. E forse farebbe bene riflettere sui tempi andati, quando agli Slam rischiavamo di estinguerci fra primo e secondo turno, e la seconda settimana sembrava l’Eldorado.
Piuttosto vale la pena pensarli in prospettiva, questi risultati, considerato che a fine luglio su questi stessi campi iniziano le Olimpiadi. Dalla nascita dei Giochi moderni abbiamo vinto solo un bronzo ufficiale, con Huberto De Morpurgo, guarda caso a Parigi nel 1924, un secolo fa – e altri due ‘dimostrativi’, con Canè e Raffi Reggi nell’84 a Los Angeles, dopo un bando durato sessant’anni.
Questa volta le ambizioni sono diverse. Se il Roland Garros fosse stato già il torneo olimpico, avremmo in tasca tre argenti e probabilmente un bronzo (Jannik lo avrebbe battuto Ruud nella finale per il terzo posto, credo che possiamo essere tutti d’accordo). Ma è inutile dire che puntiamo al metallo più prezioso.
Abbattersi per le sconfitte di J&J, poi, non è realistico. Jannik tre settimane fa era su un lettino del J Medical di Torino, l’anca destra infiammata e i pensieri che giravano a vuoto, senza uno straccio di certezza di poter giocare al Bois de Boulogne. A Parigi è arrivato per giocare un paio di match “per riattivare il fisico”, e senza allenamento ha rischiato di essere in campo oggi contro Zverev. Senza contare che da Parigi riparte da numero 1 del mondo, e con il miglior risultato di sempre nello Slam rosso. Era curioso di capire quanto vale sulla terra, l’ha capito.
Nessuno poi, l’anno scorso avrebbe immaginato che Jas nel giro di pochi mesi avrebbe vinto un “1000” (a Dubai), raggiunto la finale a Parigi e il numero 7 nella classifica Wta. «Jasmine ha vinto l’altro torneo – ha provato a consolarmi Adam Romer, il collega polacco che dirige il magazine tennistico del suo paese – Quello senza Iga».
Liberté, Egalité, Igalité: al momento la polacca gioca in un circuito tutto suo, sulla terra poi è inavvicinabile, una sorta di Nadal in gonnella. «Mentre la affrontavo – ha raccontato Jas – ho pensato che in vista del prossimo scontro con lei dovrei iniziare ad allenarmi contro degli uomini: ma forti…».
Jas comunque nei quarti ha rispedito a casa la numero 4 del mondo Rybakina e in semifinale la numero 1 del futuro, Mirra Andreeva.

Per Bolelli e Vavassori c’è il rimpianto della seconda finale Slam persa di fila, ma ai Giochi le coppie sono formate da connazionali e, tanto per fare un esempio, né Bopanna (India) ed Ebden (Australia) che li hanno superati a Melbourne, né Arevalo (El Salvador) e Pavic (Croazia), i loro avversari di ieri, potranno giocare insieme. Simone e Andrea invece da un anno stanno rifinendo un’intesa che – fatti gli scongiuri – li porterà alle Finals di Torino. Stesso discorso per Jasmine e Sara, che con la finale qui hanno mostrato che il successo di Roma non era un caso.
Alle Olimpiadi ci sarà l’incognita delle coppie dell’ultim’ora, improvvisate fra singolaristi comunque forti, il “Vava” però è ottimista: «La coppia ‘nazionale’ più forte sulla terra? Bolelli e Vavassori». Impariamo da lui.