Nel giorno della camera ardente, il ricordo affettuoso di Nicola Pietrangeli dell’amico Fabio Della Vida

foto Archivio Il Tennis Italiano

Mi piace scrivere, ma stavolta francamente faccio fatica. Mi è difficile solo pensare che Nicola non sia più tra noi. Non mi dilungo sul Pietrangeli tennista, sapete già tutto. Io ho avuto la fortuna di conoscere Nicola come uomo fin da bambino: quando ero piccolo Nick abitava a due passi da noi, spesso veniva a casa perché era molto amico di mio padre, che a sua volta lo adorava, e mi faceva giocare a pallone e a tennis. Era come uno zio, e più passavano gli anni, più crescevo, e più adoravo e mi affezionavo a quella persona meravigliosa. Da grande, poi, lavorando nel tennis, ho avuto modo di conoscerlo ancora meglio e di apprezzarlo ancora di più. Io ho fatto il manager e il talent scout, e la fortuna di ogni manager è trovare un campione che vada oltre il suo sport. Nicola non era l’idolo solo degli appassionati di tennis, ma fino a quando è mancato, lo è stato di tutti noi, dalla massaia al giornalaio, allo sportivo.
Lo stesso vale per Panatta e Sinner e un po’ per Lea Pericoli; in altri sport per Gigi Riva, Francesco Totti, Tazio Nuvolari, Alberto Tomba, Fausto Coppi, Gino Bartali, Dino Meneghin, Klaus Dibiasi Novella Calligaris e tanti altri.

Nicola era semplice e schietto; ti diceva in faccia tutto senza fronzoli o giri di parole; ma era simpatico, spiritoso, dolce ed era soprattutto un Signore con la S maiuscola.
Credo che Nicola conoscesse tutti, al mondo. Arrivavi a Monte-Carlo ed era ospite del Principe Ranieri, alla Kremlin Cup era con Yeltsin (la mamma di Nicola era russa), a Parigi con Alain Delon. Ovunque andasse, in qualsiasi salotto sedesse, era il protagonista, venerato da tutti. Bello, signorile, piacevole, aveva personalità e carisma. Ti metteva di buon umore, non potevi non ascoltarlo.
Era spiritosissimo, da buon romano (anche se d’adozione) aveva la battuta pronta. Una volta al Roland Garros, lui e Orlando Sirola giocavano contro Hoad e Rosewall, la partita fu sospesa per oscurità e Nicola uscì con due belle signore amanti del tennis. Una disse: «Ma che bel servizio ‘kick’ ha Orlando, manda Rosewall a rispondere dalla tribuna». E Nicola: «Sì, signora però ha da vede’ come risponde Rosewall dalla tribuna!…».
Il tennis a quei tempi era uno sport per dilettanti, pensate che molte volte Nicola durante il Roland Garros volava a Roma per giocare la Coppa della Canottieri di calcetto, e la mattina dopo riprendeva il primo aereo e tornava a Parigi!
Ha il record di presenze in Davis ed è l’ unico italiano a far parte della Hall of Fame (c’è anche Gianni Clerici, ma come giornalista) e da sempre il tennis italiano si specchia in lui.
Teneva alla maglia azzurra come pochi, e se l’Italia andò a vincere la Davis in Cile fu solo grazie a lui che letteralmente scavalcò mari e monti per convincere gli ottusi politicanti ad autorizzare il viaggio, rischiando di persona perché se avessimo perso gli stessi ottusi politicanti di cui sopra lo avrebbero crocifisso: invece fecero a gara per farsi strappare un foto con i nostri giocatori e con lui…

Nicola era l’icona del nostro sport, prendeva tutto e tutti per le corna, ma con classe enorme; non aveva paura di niente, non si abbassava a calcoli meschini.
Quella Davis, come sempre, la vinsero i giocatori, ma senza di lui, che li guidava, sull’Insalatiera oggi ci sarebbe scritto «1976 Cile».
Negli ultimi anni è stato il portabandiera della Federazione, il nostro ambasciatore, il nostro simbolo vorrei dire, a volte buon padre di famiglia, a volte spirito polemico, ma mai volgare, sempre innamorato del suo Sport e del suo paese.
Voglio concludere con un ricordo personale. Tre anni fa andai alla Canottieri Roma, il suo circolo, a vedere il torneo Open e mi fermai a mangiare. Chiesi a Remo Zenobi, suo grande amico, se Nicola era al circolo.
«Sta giocando a carte», mi rispose.
Lo raggiunsi e lo salutai, lui già si aiutava col bastone ma appena mi vide fece per alzarsi. «Ma che fai, ti alzi…», gli dissi.
Lui lo fece e mi abbracciò dicendo «E’ un po’ di tempo che non ti vedo».
Mi commossi davvero, e ricorderò il suo abbraccio per sempre. Era forte, vero, affettuoso.
La vita è stata gentile con Nicola, ma proprio verso la fine gli ha tirato un brutto scherzo, portandosi via suo figlio Giorgio, un colpo tremendo; credo che perdere un figlio sia la cosa più terribile.
Un mio amico sostiene che la vita è come una circolare, che però va sempre dritta, come una grande transiberiana, ognuno di noi ci sale sopra, fa amicizia con chi sta nel suo vagone, e prende un numero. Ogni giorno si estraggono dei numeri, chi ce l’ha scende, mentre noi continuiamo, e chissà quando li rivedremo. Lunedì è uscito il numero di Nicola: forse è per questo che sin da piccolo ho sempre odiato aritmetica matematica e geometria… Che la terra ti sia lieve, Frate.