Una tromba d’aria che racchiude tanti tipi di forza: pura, genuina, brutale, muscolare, allenata. Così Marco Bucciantini ha descritto il diritto di Rafael Nadal. Un colpo che assorbe il tempo, lo dilata, con un effetto perfino più frustrante. La sua parabola esce dell’armonia, prendendo aria, non penetrandola.(*) IL GESTO APPARVE COSÌ NUOVO CHE OCCORREVA DEFINIRLO: uncino, gancio sembrarono rappresentarne la curva nella ricerca della palla e nelle traiettorie. Del dritto di Nadal suggerivano l’effetto distorsivo della linearità: nell’esecuzione e nell’approdo della palla. Ma ci sono stati molti uncini e ganci. Mancava, dunque, la suggestione, perché in fondo il dritto di Nadal aveva un pregio che superava la sua estetica: dominava il gioco, legittimando le vittorie. Era un dritto certamente superbo, inimitabile, decisivo, prima ancora che bizzarro. Esistono molti video, rallentati a dovere, per constatare l’unicità di questo movimento. Se potessimo inquadrare il dritto mancino in una scala, si andrebbe dal minimo della frenesia in McEnroe e Leconte, capaci di aprire appena il compasso, senza quasi – in avvio – usare il polso, e chiudere poi il colpo in zona frontale, con palle radenti, piatte e veloci, e si finirebbe, all’altro capo della scala, nel dispendio massimo delle energie nel dritto di Nadal. Impiego fisico totale, un movimento che è una tromba d’aria, laddove l’esecuzione di Leconte pareva un soffio di vento. In uno sport dove la modernità ha inciso, favorendone un’idea fisica e suggerendone perfino la tattica, il dritto di Nadal è stato comunque un riconoscimento umano perché si basava soprattutto sulla forza: pura, genuina, brutale, muscolare, allenata. Certo, i gesti dei pionieri sembravano mossi da fili invisibili, mentre lo scuotersi di Nadal è versione che può arrivare rozza o ugualmente super costruita. Ma c’è un timbro suo, personale, antropico.
Va bene: al passato, di solito, si scrivono i coccodrilli. Eppure Nadal gioca ancora e l’arto mancino si agita nell’aria, meno superbo ma non meno coraggioso. Sembra successo qualcosa – nelle articolazioni, nei muscoli e nelle contromisure degli avversari – così che tutto il tennis del maiorchino s’è ridotto, ed è evidente anche nello scemare della forza di quel colpo. Ma è in campo, Nadal, per dimostrare il contrario, tentando l’ultimo inganno, perché anche di apparenza si è nutrito il suo regno. Come capita spesso ai campioni, imprimono sfiducia nell’avversario. Fra i tanti e oltre i concreti meriti, del dritto di Nadal c’è anche questo: aver scoraggiato gli altri, averli impauriti con un rimbalzo (proiettato da un mancino) non solo insolito ed esasperato – da costringere soprattutto i monomani a rovesci raccolti troppo in alto o attesi troppo distanti, comunque colpiti senza poter nemmeno limitare i danni. Ma anche smarriti da un’aritmia che è sempre il segreto del tennista divenuto campione, il quale anticipa (sempre) o ritarda (Nadal) il tempo del gioco, togliendo l’appoggio sensoriale al match.
Torniamo all’esigenza di definirlo: lo stesso Gianni Clerici trovò insufficienti sia gancio sia uncino, e poco suggestiva la sua idea di pala di mulino (per quel che accade nella chiusura del colpo). Ci si può servire quindi della musica e riferirsi a quel controtempo che Nadal esercita colpendo assai distante dal campo e trattenendo-rimandando una palla che costringe a sottrarsi dal tic-tac, il rifugio dei colpitori in progress contemporanei. Quel dritto ricorda la sincope, «effetto che interrompe o disturba il flusso regolare ritmico o armonico». Nella teoria musicale, la sincope si ottiene spostando l’accento da una parte forte del tempo a una debole. Per restare ai maggiori dei nostri tempi, Federer, con i suoi piedi ancorati alla riga e i colpi di mezzo volo, anticipa l’accento forte, guadagnando centesimi di secondo nello scambio e sottraendoli agli avversari. Nadal invece assorbe il tempo, lo dilata, con un effetto perfino più frustrante. Attende la discesa della palla e la sua parabola esce dell’armonia, prendendo aria, non penetrandola. Ragionare sul tempo di quel rimbalzo è stato il rompicapo dei suoi contemporanei. Solo Djokovic è riuscito ad avventarsi su quella palla, favorito dal suo schiaffeggiare bimane. Gli altri, l’hanno rimandata corta, per subirla maggiormente al colpo successivo. Lo schema si sviluppava fra la metà e l’angolo destro di Nadal, che poteva scegliere se aprirsi il campo (colpendo anomalo, o inside out come dicono oggi) o cominciando il massacro costante sul rovescio avversario.Eccolo, dunque: il caricamento è ordinato, con la racchetta verticale, sorretta dall’aiuto della mano destra per inclinare meglio il busto verso il colpo. Quando la mano destra lascia il lavoro alla sinistra, la spalla si apre, le corde che impatteranno sono opposte all’arrivo della palla, quindi la racchetta viene schiacciata verso terra ed è praticamente parallela al terreno quando la rottura del polso avvia il movimento orizzontale verso l’impatto. In questo momento, il corpo di Nadal perde stile e il braccio destro si rattrappisce, quasi avesse in orrore lo spettacolo. Il busto è ormai frontale alla rete, i piedi per aria con il ginocchio destro in ascesa. Sul sinistro, il caricamento è avvenuto per pochi istanti, ma il gravame è stato faticoso, mal distribuito dallo sbilanciamento indietro dell’atleta: proprio per questo, quel ginocchio ha subìto il logorio precoce che tanto ha tolto alla seconda parte di carriera di Nadal. Da questo momento, fa tutto il braccio, in abduzione: l’iper distensione (anche Federer colpisce così, ma conservando stile) favorisce una distanza perfetta dalla palla, se l’intenzione è la massima forza possibile. Ma è adesso che Nadal marchia questo colpo e lo rende devastante e, al contempo, proibito dalle scuole tennis. Dopo l’impatto, il braccio risale sopra la testa, non limitandosi ad abbracciarlo come una sciarpa. Il bicipite copre la faccia, lo spin esasperato si scioglie in una decontrazione che abbandona il polso, quasi cedevole, dimostrando quanto fosse stato impegnato prima e quanta curvatura e forza sia stata impressa alla palla che – è stato calcolato – volteggia con un indice di spin di 5.000 rotazioni al minuto. La rotazione serve per trattenere la palla in campo e contenere la velocità dentro l’utilità del gioco: rivela in sostanza quanta virilità serva a quel polso per abbinare energia e contropelo. Intanto, la testa della racchetta prosegue nel mulinello, passando sopra la spalla destra, circumnavigando il capo per ritornare sopra la spalla sinistra. Arricciando la chiusura del colpo, Nadal si riallinea e ritrova la posizione frontale, con il piede destro molto carico, proponendosi subito per i passi necessari a rientrare nello scambio.
Questo avvento – troppo personale per avviare una rivoluzione, come fu per i colpi arrotati di Borg, ma così efficace da essere in via di sperimentazione, in versioni meno esasperate – ha tolto almeno un paio di Grand Slam a Federer ed è stato sostanziale nei trionfi spagnoli. Quel dritto, senza dubbio e smentita, va infilato tra i cinque migliori di sempre. Bisogna saperlo suonare, il tempo debole.
(*) Articolo pubblicato su Il Tennis Italiano di febbraio 2017
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