Per ora è un sogno, ma se in futuro Roma e Lazio emigreranno altrove, all’interno del parco del Foro Italico si libereranno spazi davvero… da Slam

E se gli Internazionali d’Italia, in un futuro più o meno vicino, approdassero allo Stadio Olimpico? Martedì prossimo al Foro Italico sarà presentato il Master Plan relativo alle novità che sono già trapelate: il centralino da 6500 posti e i due campi laterali ricavati all’interno dello Stadio dei Marmi – le immagini dei lavori in corso le abbiamo già pubblicate – e solo questo progetto allarga il cuore degli appassionati, oltre che i confini del torneo. Ma se dobbiamo proprio sognare che Roma possa trasformarsi nel benedetto, forse chimerico Quinto Slam – o se preferite in un Masters 1000 Premium, o in un Masters 2000 – allora tanto vale sognare in grande.
Pensateci: quello che sembrava follia nel 2017, e cioè le Atp Finals e le Finali di Coppa Davis in Italia, un numero uno e una numero quattro del mondo vestiti d’azzurro, due Slam, due insalatiere e una BJK Cup conquistate, è diventato realtà in pochissimi anni, considerando anche la pausa dovuta al Covid.
Quindi perché non immaginare che Roma possa crescere ancora nei prossimi 5, 10 anni? In fondo i presupposti ci sono, e si basano su due cardini: la possibilità che l’attuale centrale abbia finalmente un tetto – e a maggio potrebbero arrivare delle novità in questo senso…- e l’opportunità che si liberino altri spazi nel complesso del Foro Italico. Come insegna la storia dei quattro Slam, da Melbourne Park al Roland Garros, da Wimbledon agli Us Open, nell’ultimo ventennio è stata la disponibilità di nuovi spazi a decretare il successo o la stagnazione.
Oggi, con Roma e Lazio a occupare l’Olimpico per campionati e coppe, il progetto è di fatto irrealizzabile. Ma il 21 aprile prossimo la Roma presenterà il progetto per il nuovo stadio di proprietà nella zona del Portonaccio, e in tempi non enormi si può ipotizzare una migrazione anche della Lazio verso una nuova struttura: nello spazio oggi occupato da uno stadio Flaminio ormai fatiscente, o altrove. In Italia siamo abituati a tempi biblici per le grandi opere, è vero; ma ora c’è una ‘frusta’ internazionale che potrebbe velocizzare le operazioni: nel 2032 l’Italia ospiterà gli Europei di calcio e già dal 2026 dovrà presentarsi con una impiantistica rinnovata e adeguata all’occasione. Insomma, è lecito ipotizzare, oltre che sperare, che da qui al 2030 qualche passo decisivo verrà compiuto.
E con l’Olimpico liberato dalla ‘tirannia’ del calcio, ecco che al Foro si libererebbe non solo lo spazio all’interno dello stadio vero e proprio – per ricavare un ‘set up’ simile a quello di Miami – ma si renderebbero disponibili anche tutte le aree adiacenti, che oggi non possono essere utilizzate per via dei flussi degli spettatori in occasioni delle partite e per ovvie ragioni di sicurezza. Il Foro insomma non va pensato in termini di 4 o 5 campi laterali o di allenamento da aggiungere, ma come un contenitore da 50 ettari che può essere sfruttato in molti modi.
L’offerta avanzata dalla Fitp per acquistare la settimana del torneo di Madrid, e l’ampliamento già deliberato, sono il sintomo che la volontà di muoversi in questa direzione c’è.
Parlare di ‘Quinto Slam’, certo, è prematuro e forse, anzi sicuramente azzardato. Servirebbe il placet del Grand Slam Committee, serve l’ok dell’Atp e dell’Itf, mille considerazioni di ordine commerciale e finanziario andrebbero valutate; e soprattutto andrebbe stravolta la forma mentis che da ormai un secolo ci ha abituato a pensare ai quattro ‘major’ come gli unici, veri pilastri immutabili di questo sport.
Ma se quell’idea può servire da traino e da meta ideale sulla strada di un rafforzamento e di una crescita degli Internazionali, ben venga la voglia di esplorarla, di verificarla, finanche di perseguirla.
Quest’anno al Foro tutti attenderemo, giustamente, il rientro di Sinner. Ma il tennis italiano era in forte crescita già prima che esplodesse la Sinnermania. La trattativa per portare le Atp Finals a Torino, ricordiamocelo, era partita già prima che Jannik si rivelasse nel Challenger di Bergamo, e sulla scia della creazione delle Next Gen Finals a Milano. La chiave per un grande futuro del nostro tennis sta certamente nei successi di Jannik e degli altri italiani e italiane, ma anche nella grandissima attività organizzativa di questi ultimi 15, 20 anni, che a quei successi ha fornito le fondamenta, la piattaforma, il trampolino. Se il tennis inglese è riuscito a sopravvivere a quasi 80 anni di carestia è stato grazie a Wimbledon, al fatto che anche oggi, 90 anni dopo i trionfi di Fred Perry e quasi dieci dopo l’ultimo urrah di Andy Murray gli appassionati di tutto il mondo sognano di poter varcare almeno una volta nella vita i Doherty Gates: a prescindere da chi c’è in tabellone.
La speranza di chi ama il tennis italiano, e il compito di chi lo gestisce oggi e lo gestirà domani, io credo, risiede anche in questo, nel rendere Roma degna di uno Slam: se non di nome, quantomeno di fatto.