di Federico FerreroBrutto tempo: la corsa al business Per una volta apriamo con il brutto tempo
di Federico Ferrero

Brutto tempo: la corsa al business
Per una volta apriamo con il brutto tempo. Oggi i giocatori e i tecnici tirano un sospiro di sollievo perché Etienne de Villiers ha annunciato, giorni fa, di aver posto fine all’esperimento dei round robin. La decisione, giusta, è l’inevitabile frutto di una scelta sbagliata ed è stata giustificata dal sindacato dei giocatori con motivazioni non decisive: la confusione dei tabelloni ibridi a 32, le regole fumose sull’eliminazione dai gironi a tre giocatori, le difficoltà dei mezzi di comunicazione nel riportare le notizie (!) e la situazione, difficilmente sopportabile dai giocatori, di avere il proprio destino affidato anche a fatti e persone terze.

La sensazione è che il problema vada oltre la pericolosa creatività di un amministratore delegato che sogna TennisWorld come DisneyWorld, dove tutto è bello e gioioso, Nonna Papera offre torte e dalle fontane zampillano bibite. Evidentemente l’associazione professionisti sta perdendo la tramontana: come sindacato difende se stesso e come proprietario del Tour si è trasformato in un’efficace macchina da soldi che riversa su pochi eletti milioni di dollari, che apre ai nuovi mercati, che sposta tornei come pedine nei Paesi più ricchi (anche quelli con zero tradizione tennistica come gli Emirati Arabi e il Qatar, Paesi in cui la diffusione del nostro sport sarà sempre un fenomeno elitario) ma dimentica che il tennis è uno sport e viene prima dei contratti, della pubblicità, dei milioni facili.
Non si tratta di criticare i guadagni: è giusto però ricordare che quando un sindacato diventa unico giudice della propria categoria accade che i suoi vertici siano – come sta accadendo ora – sempre meno aderenti alla volontà di chi vive di tennis professionistico (perché anche in quello c’è chi segue solo il lucro ma la maggioranza è spinta ancora dalla passione) ed espressione di una mentalità esclusivamente manageriale, quella che vorrebbe anche gli stadi vuoti ma i contratti televisivi firmati sul tavolo. Ebbene, questa strada è deleteria.

Bel Tempo: occhio ad Amer Delic
Ha appena battuto Nikolay Davydenko a Miami con il suo gioco a tutto campo sorretto da un servizio devastante. È alto quasi due metri, è bosniaco di Tuzla ma ormai vive da undici anni in Florida, a Jacksonville. Si chiama Amer Delic, classe 1982, quindi non un ragazzino ma un giocatore finalmente pronto per giocare nel tennis che conta (a fine anno è entrato per la prima volta nei primi cento del mondo). Amer, campione Ncaa nel 2003, è stato allenato per lungo tempo da Dean Goldfine e in molti (James Blake, Todd Martin) attendevano la sua esplosione, mai avvenuta anche per via di alcuni problemi fisici. Quello del Masters Series statunitense di questa settimana può essere l’inizio della vera carriera di Delic, attualmente nono nella classifica dei più forti connazionali nel ranking. Posizione da rivedere a fine anno.

Previsioni del tennis: il gioco scende in rete
Con la diffusione capillare delle connessioni a banda larga e l’intrufolarsi di Internet nella nostra vita quotidiana gli appassionati di tennis hanno una risorsa in più, la Web Tv. Sono molti i canali (soprattutto asiatici, ma da poco è anche disponibile lo statunitense The Tennis Channel) che offrono la possibilità di seguire in streaming le partite di tennis sul personal computer di casa. Per riuscire a vederle occorre una certa dimestichezza col proprio Pc e la qualità della ricezione non è paragonabile a quella del segnale televisivo digitale per non parlare del commento, spesso da sorbire in cinese o in lingue arabe o slave. La questione della fruizione dello sport via Internet è oggetto di discussioni accese nel vuoto legislativo che al momento la caratterizza.

Da telecronista di tennis mi sento peraltro coinvolto anche se, in tutta franchezza, non sono d’accordo con l’approccio che uno dei maggiori detentori di diritti sportivi televisivi in Italia ha deciso di adottare denunciando un ragazzo bergamasco che, senza fini di lucro, aveva allestito un sito Web che ‘linkava’ a siti cinesi i quali offrivano gratuitamente, via Internet, le partite del campionato di calcio italiano. La diffusione di informazioni che Internet garantisce va certamente normata ma non vista come un assalto ai diritti d’autore e alle esclusive: un appassionato difficilmente baratterà la finale di Wimbledon in alta definizione sulla tv digitale (a pagamento) con uno streaming sullo schermo del Pc in lingua taiwanese (gratis). È prevedibile che la qualità dello streaming aumenti nei prossimi anni, certo, tuttavia la televisione va sempre più verso l’abbandono della tradizionale antenna e delle reti terrestri a favore dell’offerta digitale, con soluzioni di pagamento alternative al canone e basate sull’interesse che ciascuno ha per un evento, nel nostro caso il tennis. Per cui non è logico cercare di fermare il mare con sacchi di sabbia (o peggio, con lo spauracchio delle aule di tribunale) perché il tennis su Internet è già una realtà e offre a chi lo segue la chance di vedere tornei che nessuna emittente tradizionale copre, anzi: ormai sono i siti stessi dei tornei a offrire, di tanto in tanto, la diretta gratuita con una telecamera fissa sul campo centrale.

La Rete non va vista come un’amica per chi lavora nelle televisioni e nei giornali e poi combattuta se si ritiene – a mio giudizio a torto – che possa nuocere ai propri interessi economici. È una grande opportunità ed è, comunque, alternativa alla televisione: sta a chi trasmette il tennis in tv (e lo dico da appassionato) trovare nuove soluzioni e nuove offerte che rendano appetibile il tennis allo spettatore tradizionale senza indurlo a rinunciare allo schermo televisivo per passare al Web. Se ciò avverrà, infatti, non sarà per un piccolo risparmio ma per la qualità non sufficiente dell’offerta tradizionale di tennis in video. Discorso che vale, tal quale, per la carta stampata ‘opposta’ all’informazione gratuita online. Come dire: dipende da noi.

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