C’è chi vuole eliminare la regola del total white, chi “abbattere” il coprifuoco, e una comunità che rema contro il piano di sviluppo dell’All England Club…

Wimbledon piace a tutti, chi non ama Wimbledon? Persino Fabio Fognini, che qualche anno fa non ci andò troppo leggero con i Championships, oggi si scioglie davanti all’atmosfera assoluta dei Championships che li rende qualcosa di assolutamente diverso da tutti gli altri tornei. Eppure…
Eppure le regole e le consuetudini che regnano all’interno dei Doherty Gates – e in un futuro non lontanissimo, anche fuori – non piacciono a tutti, anzi. E in questi primi giorni lo si è notato.
Billie Jean King, ad esempio, una icona wimbledoniana (20 titoli fra singolare, doppio e doppio misto), detesta il dress code che impone l’all-white, il tutto bianco (o quantomeno prevalentemente bianco: le donne dal 2023 possono indossare mutandine non bianche, per evitare problemi facilmente intuibili).
Per BJK, si tratta di un ‘errore totale’, come lo ha definito in una intervista al Daily Telegraph. «Sei davanti alla tv, ti siedi e guardi, e… chi è chi? Chi segue il tennis dice: ‘Beh, c’è il segno accanto al loro nome’. Ma non dovrei guardare un segno. Non dovrei guardare nulla. Dovrei sapere chi è chi. Il mio sport mi fa impazzire». Per poi concludere: «Si può cambiare la tradizione».
Altro punto critico: il coprifuoco delle 23, introdotto da quando (2009) il tetto sul centrale consente di giocare anche senza luce naturale. Nel corso degli anni i residenti hanno ceduto su alcuni punti fondamentali – un tempo non si giocava mai di domenica, nemmeno quella della finale, mentre il tabù del riposo nella middle sunday è crollato nel 2022 – almeno su questo tengono duro: niente ‘schiamazzi’ dopo le 23, ammesso che una partita di tennis si possa definire tale. Ma questo significa che i match in corso vanno interrotti allo scoccare dell’ora fatale, in anticipo persino su Cenerentola. E a molti non va giù. Uno su tutti Taylor Fritz che lunedì ha dovuto interrompere al quarto set il match che lo opponeva a Mpetschi-Perricard: e nemmeno alle 23, ma alle 22,15. Taylor avrebbe voluto continuare, il supervisor ha fatto ampi cenni di diniego. «Allora che cosa me lo chiedono a fare?», si è lamentato sui social. «Avevamo a disposizione più tempo di quanto ne fosse servito per il nostro set più lungo, ma non c’è stato nulla da fare. Ci ho provato, ma non è servito». Il pubblico ha accolto la decisione con una pioggia di ‘buuu’, e anche l’ex campione di doppio Todd Woodbrigde ha criticato la decisione, detto che se Mpetschi-Perricard fosse stato d’accordo, il match sarebbe continuato.
E poi c’è il futuro. Il nuovo Master Plan che prevede l’allargamento dell’impianto dalla parte opposta di Church Road, dove il terreno dello storico golf club è stato acquistato anni fa al prezzo di 65 milioni di sterline, piace ai fan del torneo ma fa infuriare i soliti ‘residenti’ che temono l’operazione. E’ prevista la costruzione di un nuovo centralino da 8000 spettatori, comunque il quieto paesaggio suburbano ne uscirà stravolto; senza contare i molti anni di lavori invasivi ‘e rumorosi’ che saranno necessari. «Vogliono creare un’industria tennistica», c’era scritto due sere fa su un manifesto appeso lungo Wimbledon Park Road, creato dal comitato che si oppone ai lavori. Insomma, c’è anche chi riesce a sottrarsi al fascino di una storia che si ripete da 150 anni. L’All England Club, padrone del torneo, che ha dimostrato di sapersi rinnovare senza perdere il contatto con le sue tradizioni, come se la caverà questa volta?

