Un ricordo della storica finale di sei anni fa, un evento indimenticabile, nel bene e nel male, per la qualità e le emozioni

Foto di Ray Giubilo

‘Non potevano essere amici’, scriveva Riccardo Crivelli sulla Gazzetta dello Sport, ‘… Novak è figlio delle montagne, cresciuto dietro il bancone di un bar-pizzeria a conduzione familiare e a otto anni ha conosciuto gli orrori della guerra. Roger è venuto su da una famiglia borghese di Basilea’ proseguiva il giornalista, ‘..e il viaggio più lungo l’aveva intrapreso a 14 anni per raggiungere il centro federale di Losanna. L’età in cui Nole era già un giovane vagabondo per l’Europa, impegnato a capire se da tanta rabbia in corpo potesse scaturire un possibile futuro’.

Non per questo, tuttavia, potevano dirsi nemici! I due, erano più semplicemente rivali in un dualismo favorevole al serbo per 25 a 23, chiamati a misurarsi per la quarta volta sulla sacra erba di Wimbledon. I due sapevano tutto l’uno dell’altro, dunque, oltre a qualche illusione tattica trita e ritrita, c’era da giurare che il resto del match avrebbe seguito il divenire dei fatti. Un’occasione, l’ennesima, per ribadire al mondo le singole diversità e una visione opposta del tennis: quella lirica, incline alla bellezza del gioco, l’altra prosaica figlia del pensiero razionale. Era stato all’interno di quei binari che due dei massimi esponenti del tennis moderno, avevano guadagnato l’atto conclusivo dei 133mi Championships, lasciando qua e là null’altro che qualche sporadico set.

Così dopo un sabato di quiete seguito alle semi, c’era stata la notte e quando al risveglio i datari inglesi segnavano domenica 14 luglio 2019, il mondo racchettaro aveva atteso con ansia che il meridiano di Greenwich spaccasse le 15.00, incurante se il resto del globo fosse a nanna o in ufficio. Così, tolti i 65.000 riversi in Hyde Park per l’ultimo atto del British Summer Time Festival, all’ora ics il resto dell’universo s’era saldamente piazzato dinanzi a tv e smartphone, rapito dal match clou del torneo più blasonato al mondo. 

E tra un Federer in vena di follie e un Djokovic a perfetto agio nel suo seminato, alla fine era stato tiebreak. Un’innovazione per l’appuntamento londinese, dopo che per lunghi anni il comitato organizzatore s’era mostrato ostile alla sua adozione nel set decisivo. Un passo avanti dunque ,chiamato in causa sul 12 pari al quinto, il giusto compromesso tra un agonismo all’ultima goccia e tempi più certi per i palinsesti televisivi. Uno spaccato di tennis, che quella volta aveva tenuti tutti in uno stato di assoluta apnea. Almeno fino a quando, un dritto steccato di Federer sanciva il definitivo 13-12 per Nole, gettando nello sgomento più totale un popolo sterminato di aficionados sparso ai quattro angoli del mondo.

Cosa è andato storto?” avrebbe risposto Federer in sala stampa, “un colpo, forse due: fate voi quali”. In verità sulle corde del più erbivoro dei fuoriclasse, di treni ne erano passati più d’uno. Il più importante l’aveva sfiorato sull’ 8-7 al quinto, 40-15 e servizio in canna, due match point che ne avevano solleticato la frenesia in modo forse troppo abbondante. Tant’è che il primo s’era involato assieme a un errore gratuito di dritto mentre il secondo era uscito di scena con un altro drittaccio, questa volta del serbo, su cui lo svizzero nulla aveva potuto.

Dopodiché era stato tutto un ribaltone. Un batti e ribatti nel quale il confronto se n’era svolazzato verso il settimo cielo, conteso tra lirismo e raziocinio, fatalismo e concretezza, bellezza e rendimento! E in una miscellanea di giocate straordinarie, i due titani avevano esaltato il più profondo significato di ‘ competizione’, una pagina di sport tra le più belle mai scritte sui prati verdi di dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club di Londra

‘Ha vinto l’uomo di ferro” titolava l’indomani Massimo Grilli sul Corriere dello Sport. Aveva ragione! Dati alla mano, in molti si sarebbero gettati in analisi quantitative per accorgersi che i numeri di Federer erano in tutto superiori a quelli del suo diretto avversario. Lo svizzero aveva dominato ma le fasi vitali del match erano andate all’ex bimbo di Belgrado. “ Ho l’abitudine di preparare mentalmente i match..” avrebbe detto Nole ai giornalisti rosi dalla curiosità, “e di interpretare al meglio il punteggio”. Un messaggio subliminale per dire che i punti si contano ma soprattutto si pesano. ‘Non ha vinto il migliore’ avrebbe esordito Azzolini su Match Point. Forse Daniele aveva ragione e ancora oggi, irrisolta rimane la domanda dalle cento pistole: il magnifico Wimbledon 2019 l’ha vinto Novak Djokovic o l’ha perso Roger Federer?