Il tennis ha il suo Catone: viene dall’Australia e si chiama Nick Kyrgios. L’uomo più criticato del tennis negli ultimi 5 anni si è trasformato nel castigatore dei (pessimi) costumi dei suoi colleghi. Piaccia o meno, è l’unico che il suo parere su quello che non va nel circuito lo dice, senza badare troppo alla diplomazia. Quando picchia troppo sul personale a volte esagera, perché i litigi magari fanno audience o qualche clic in più - ma restano stucchevoli. Ma è uno dei pochi (pochissimi, quasi nessuno…) che da dentro, da collega, se ne infischia delle gerarchie e del ‘tennisticamente corretto’ e punta l’indice su questioni che riguardano tutti, come la gestione dell’Adria Tour o l’isolamento molto pubblico di Sascha Zverev. Senza paura di irritare i ‘potenti’.
Per anni ha assorbito le accuse - a volte giuste, ma spesso violenti e un po’ farisee - ai suoi comportamenti in campo, ora è passato all’attacco. Come i ‘fool’, i giullari e i folli del teatro di Shakespeare, ha il coraggio di dire verità che altri tacciono, o di indicare le nudità dei sovrani. E’ una disciplina sempre pericolosa, certo, basta niente per oltrepassare il confine e passare dalla satira pungente ma intelligente, all’attacco gratuito. E Nick con il suo pregresso di abulie e comportamenti borderline rischia la più classica delle repliche: ‘da che pulpito…’. Nei suoi twitter raramente però c’è cattiveria, piuttosto ironia, e una genuina attenzione al lato umano, meno ‘politico’ e ipocrita del tennis.
Prima di liquidarli come boutade, vale sempre la pena di rifletterci su.