Italia, crisi di risultati o di identità? Il parere di Bertolucci, Ljubicic e D'Adamo

Abbiamo interpellato tre grandi esperti per capire se le sconfitte azzurre a Roma sono un campanello d'allarme o solo un passo falso.

Azzurro pallido

Italia sì, Italia no, la terra di Roma a questo giro alimenta dubbi, nutre sconforti, richiede risposte. L’azzurro quest’anno è scomparso già agli ottavi: sembra di essere tornati ai tempi delle vacche magre, quando un paio di turni passati in tabellone erano già una vendemmia. Al tempo di Sinner - e di Musetti, e di Sonego, per non parlare ovviamente dell’infortunato Berrettini - invece scattano i musi lunghi. Dunque siamo incontentabili? O è lecito recriminare su una edizione degli Internazionali molto bagnata, ma poco fortunata?

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foto Ray Giubilo

«Be’, solo chi non conosce il tenni e non sa bene chi è Cerundolo può gridare allo scandalo per la sconfitta di Jannik», reagisce subito Paolo Bertolucci, ex capitano di Coppa Davis e voce storica di Sky Sport. «Siccome siamo a Roma l’uscita degli italiani sembra una cataclisma, ma due hanno perso con un giocatore più forte, Tsitsipas, e Musetti per giunta contro Stefanos è andato in campo a mezzanotte, contro chi sicuramente ha più esperienza di lui. Certo Jannik contro l’argentino aveva qualcosa che non andava, ma non dimentichiamoci che a 21 anni è già il numero 8 del mondo». Forse su Jannik, è lecito pensarlo, si sono addensate troppe aspettative molto in fretta. «Non lo so, magari non diventerà mai il numero 1, ma può essere numero 3, 4 o 5: vi sembra poco. Alcaraz al momento è più forte di lui, Rune anche, ma non ne vedo altri 13 o 14 che gli stiano davanti».

Foto Ray Giubilo

Per Ivan Ljubicic, ex n.3 del mondo, coach per anni di Federer e commentatore sempre per Sky, la parola d’ordine è: «Pazienza».

«La strada alla fine la troverà anche Jannik, ne sono certo. Nel tennis ci sta anche che ad un torneo ci tieni tanto e questo finisce per bloccarti, ma lui sta facendo tutto quello che deve. Per anni abbiamo vissuto con tre fuoriclasse che sapevano vincere le partite anche quando non erano al 100 per cento, Jannik ancora non ce la fa. Vorrei poi che capisse bene qual è la base del suo gioco. Variazioni e alternative si possono studiare per adattarsi ad un determinato avversario o a una situazione di gioco, ma non si possono snaturare i giocatori. A Casper Ruud non puoi comandare di andare più a rete, e nemmeno a Berrettini, non tanto per una questione tecnica ma mentale, perché ‘dentro’ non se lo sentono; lo stesso vale per Sinner. Mettergli addosso troppa pressione non serve a nulla, deve poter seguire anche l’istinto, come ad esempio fa Rune: è aggressivo, guascone, la sua forza sta lì e non credo nessuno lo freni». E Musetti? «Lui sì che ha tenete opzioni, può stare più avanti o più indietro, inventare soluzioni, ma è troppo discontinuo, nelle partite ha dei ‘buchi’ di tre, quattro game che vanno evitati. Mi chiedo piuttosto se dentro abbia davvero la voglia di diventare numero 1. A me sembra che sia già felice così. Poi contro Tsitsipas ha giocato una bella partita, forse è anche sbagliato aspettarsi troppo».

Foto Ray Giubilo

Il meno ‘assolutorio’ dei tecnici che abbiamo ascoltato è Massimo D’Adamo, ex responsabile del centro tecnico federale di Riano, maestro e coach di grandissima esperienza e opinionista de Il Tennis Italiano.

«La domanda da farsi è: se Federer o Djokovic fossero nati in Italia, sarebbero diventati Federer e Nadal? Noi esageriamo con una retorica delle scusanti: faceva freddo, non stavo bene, non era la mia giornata, ed è una abitudine che deresponsabilizza i giocatori. Come pure ripetere, come facciamo da 40 anni, che Panatta ha vinto Roma a 26 anni e quindi a 20 ‘è troppo presto’. Ma chi l’ha detto? Non siamo capaci di crescere mentalmente i tennisti, e finiamo per creare degli incompiuti, vedi il caso di Bolelli. Mi ci metto anch’io, per carità. E penso invece a Raffaella Reggi, che ha cambiato il nostro tennis femminile grazie agli insegnamenti di Nick Bollettieri». Italia forse, Italia comunque. Ma Italia datti da fare.

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