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Musetti e Sinner, amiamoli senza delirare

Lodare i progressi dei nostri non significa tacere sui loro limiti. Questa grande stagione del nostro tennis seguiamola con emozione, ma senza perdere lucidità nei giudizi

foto Ray Giubilo

Ora che abbiamo un ottimo presente e forse un grande futuro nel tennis grazie a Matteo Berrettini, Jannik Sinner, Lorenzo Musetti, Lorenzo Sonego e tanti altri forse potremmo/dovremmo decidere di viverlo con equilibrio. Rallegrandoci per i buoni, a volte eccezionali risultati, e le belle partite che i nostri ci stanno regalando. Ma evitando di metterli su un piedistallo.

Sono convinto da sempre che gli atleti debbano ascoltare soprattutto chi sta loro vicino e li conosce meglio, evitando soprattutto farsi trascinare in polemiche inutili (specie sui social). Ma ogni tanto una critica - costruttiva - può aiutare.

Non credo che dirsi un po’ delusi non dalla sconfitta di Sinner con Nadal, ma dal modo in cui è maturata, soprattutto dal pessimo nono game del primo set, sia un peccato di lesa maestà. Siamo tutti d’accordo che Jannik ha già fatto un percorso enorme, e che Nadal a Parigi è un tabù per chiunque, figuriamoci per un 19enne che ha giocato una manciata di partite nel circuito. Ma i percorsi sono fatti anche di passi falsi, di momenti negativi, dai quali si può, anzi si deve imparare. Scrivere o dire che Jan ha ancora tanto su cui lavorare - penso al servizio, al diritto, al gioco al volo, alla gestione anche emotiva di certe situazioni - non è volergli male, ma augurarsi che possa migliorare ancora. Anche perché la critica è sulla partita, non sulla persona.

Come non credo sia sbagliato, con i giusti toni e senza renderla una faccenda di Stato, suggerire a Lorenzo Musetti - autore qui a Parigi di un torneo straordinario - che resistere un paio di game contro Djokovic sarebbe stato più giusto, più adeguato, più corretto. Il ritiro non toglie niente al suo Roland Garros. Quei due game in più avrebbero aggiunto qualcosa sul piano della sportività. Diamo quindi a tutti il tempo di crescere: con simpatia e partecipazione, ma senza ipocrisia. Perché quella danneggia per primo proprio chi va in campo.

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