Prima dell’introduzione dell’obbligo vaccinale, l’ipotesi più probabile pareva quella di due settimane di quarantena in una bolla di sicurezza, ma con i giocatori liberi di muoversi fra i rispettivi hotel e l’impianto di Melbourne Park. Voci di corridoio ipotizzavano numerose agevolazioni per i giocatori vaccinati, ma le notizie delle ultime ora hanno rimesso tutto in discussione, creando ulteriore caos. A puntare il dito contro il governo australiano anche Ashleigh Barty, che al ritorno dallo Us Open ha dovuto trascorrere due settimane di isolamento in hotel, pur essendo vaccinata e anche risultata negativa al test effettuato al rientro in patria (così come agli altri 67 tamponi ai quali si è dovuta sottoporre nel 2021). Tanto che per lo stesso motivo la numero uno del mondo ha già fatto capire che rinuncerà alle WTA Finals in Messico, per evitare altre due settimane di isolamento forzato che sa tanto di controsenso.
Fra gli altri possibili impicci della questione Australian Open e vaccini c’è il fatto che al momento non tutti i sieri presenti sul mercato mondiale sono riconosciuti dal governo del Paese. Oltre ai noti Pfizer, Johnson & Johnson, Moderna e AstraZeneca, studi sull’efficacia pubblicati dal Dipartimento australiano della Salute hanno ufficializzato il 1° ottobre l’approvazione del vaccino cinese Coronavac e di quello indiano Covishield, mentre per il momento non sono stati ancora riconosciuti gli altri due vaccini cinesi (BBIBP-CoV e Convidecia), quello indiano Covaxin e soprattutto il russo Sputnik V. Dato l’obbligo di doppia dose per i tennisti provenienti da tutto il mondo, questo potrebbe diventare un problema per i cittadini dei paesi in questione, i quali – russi in primis – potrebbero trovarsi nell’assurda situazione di essere vaccinati ma comunque non ammessi in Australia a causa del tipo di siero ricevuto. Per correre ai ripari in anticipo, la Russian Tennis Federation ha fatto sapere di aver già avviato delle trattative col governo del Victoria, per chiedere il riconoscimento del vaccino russo per i suoi giocatori che arriveranno a Melbourne.
Nel frattempo, per le qualificazioni si ipotizza di nuovo una soluzione a metà fra Dubai e Adu Dhabi, con l’inizio intorno al 20 dicembre in modo che i qualificati possano poi volare a Melbourne subito dopo Natale, per rispettare le due settimane di quarantena. Non si sa ancora nulla invece sul pubblico, anche se la vaccinazione sarà sicuramente richiesta. In questo senso, il potenziale obbligo per i giocatori permetterebbe almeno di evitare la situazione capitata a New York, dove il vaccino era necessario per il pubblico ma non per i protagonisti del torneo e i relativi staff. Tuttavia, al momento la presenza degli spettatori non è affatto da dare per scontata, visto che in Australia le chiusure sono sempre dietro l’angolo. Melbourne ha appena strappato a Buenos Aires il record di giorni di lockdown, e sta attraversando il suo sesto periodo di confinamento, iniziato il 5 agosto. La chiusura è prevista fino al 26 ottobre: quando (e se) terminerà la città avrà trascorso 267 giorni di lockdown dal 20 marzo del 2020. Il loro solo obiettivo è la positività zero, quindi non si pongono alcun problema a fermare tutto, anche con pochissimi contagi. Facile intuire che in uno scenario simile l’Australian Open sia l’ultima delle loro preoccupazioni.