Cerutti, Fit Lombardia: «La tessera agonistica è necessaria per evitare il liberi tutti»

Il neo eletto presidente del comitato lombardo della Fit commenta per Il Tennis Italiano l'articolo apparso su Il Fatto Quotidiano in merito alla corsa al tesseramento agonistico in Lombardia. Il conflitto fra desiderio di salvaguardare l'attività rispettando le regole e i 'bachi' delle norme che lasciano spazio a chi se ne approfitta. Secondo Cerutti i dati sono inferiori a quelli riportati dal quotidiano

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Il Fatto Quotidiano tre giorni fa ha lanciato il sasso, raccontando una realtà che gli addetti ai lavori già conoscevano da settimane a proposito della possibilità di praticare il tennis in tempo di Covid grazie alla tessera da agonista della Fit.

Soprattutto nelle regioni del nord, dove il clima permette meno di allenarsi all’aperto, e che quindi si sono sentite discriminate dal Dpcm in materia.

«Milanesi popolo di tennisti. Agonisti, per di più», scrive ilfattoquotidiano.it. «Nelle ultime settimane, nelle Regioni italiane in zona rossa e in particolare in Lombardia, si è assistito a una vera e propria corsa sotto rete. Giovani prestanti ma anche adulti più attempati, a migliaia, si sono dati al tennis. Con una racchetta in mano e una tessera in tasca, del resto, si può fare tutto: giocare, allenarsi, persino spostarsi liberamente, aggirando i divieti.».

Il quotidiano fornisce anche alcuni dati, anche se ufficiosi: «E così, da quando è scattato il Dpcm del 3 novembre, a Milano e dintorni si sono scoperti tutti tennisti agonisti. Con la tessera agonistica (costo di circa 30 euro) e una visita di idoneità (altri 70-80 euro) era possibile diventare eleggibili per uno dei tanti tornei «nazionali» ancora aperti (ce n’erano oltre 300 in tutta Italia). Insomma, bastava sborsare un centinaio di euro per poter giocare e allenarsi liberamente, privilegio che non ha prezzo in tempi di pandemia. A quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, nelle ultime settimane solo in Lombardia ci sarebbe stato un boom di circa 3mila nuovi iscritti (per un afflusso di quasi 100mila euro di ricavi extra)». Un ‘lasciapassare’ contro la pandemia, come lo ha definito qualcuno (molti) con ironia; o un escamotage legale, magari discutibile, ma pensato per non fare morire l’attività di circoli e maestri?

Per capirne di più abbiamo intervistato Enrico Cerutti, ex presidente del TC Milano e da poco eletto presidente del comitato regionale lombardo della Fit per il quadriennio 2021-2024. «Sulle cifre per il momento non posso pronunciarmi, perché non le conosco: le controllerò volentieri nei prossimi giorni», premette Cerutti. «Per quanto riguarda la sostanza, ci sono due possibili approcci. Dal punto di vista delle regole, non c’è niente da dire: è stata fatta una norma, che va rispettata. Poi come avviene spesso subito è stato individuata una falla, un baco, chiamiamola come vogliamo. Certo ne ha approfittato anche chi in teoria non avrebbe dovuto, ma questo è un altro discorso…».

In molti considerano il tesseramento puramente una ‘tassa’ che la Fit ha imposto per approfittare della situazione.

«Mi sento di dire che un lato positivo è quello della visita a cui bisogna sottoporsi: quella da agonista è molto scrupolosa, e non tutti la passano. Io ad esempio ho 70 anni e non la passerei. Poi è un modo per tutelare tutti, anche i presidenti dei circoli. Se ci fosse stato il ‘libera tutti’ la responsabilità sarebbe diventata personale e sarebbe ricaduta su di loro, con tutti i problemi connessi, e sarebbe stato più difficile stabilire un confine».

Fa anche un po’ sorridere (amaro) il proliferare di tornei e tornei con un numero di iscritti che triplica o quadruplica quelli di uno Slam, e che magari poi non si svolgono mai.

«Non sono avvocato, ma ho fatto legge, e quello che posso dire che se la norma prevede che per allenarsi e giocare si sia ‘partecipanti’ ad un torneo, vuol dire che quel torneo si gioca ora, non fra tre mesi.

E’ giusto che tutti, giocatori e presidenti, conoscano i rischi che corrono. Io da ex presidente so in quali ‘casini’ ci si può infilare. Poi certo la Polizia e i Carabinieri che eseguono i controlli verificano che chi gioca sia in possesso della tessera agonistica, ma non possono incrociare i dati con quelli di tutti tornei che si stanno effettuando».

Alla fine qual è il suo giudizio sulla situazione? «Diciamo che sono in ambasce. Da una parte capisco che si è cercata una soluzione per evitare di ‘uccidere’ il tennis, di fermare le scuole che sono una delle poche voci in attivo del nostro ambiente, mettendo in ginocchio chi ci lavora. Fra l’altro siamo in contatto con la Regione Lombardia che il 4 ottobre aveva emesso una ordinanza che nel caso di palloni e strutture con le giuste caratteristiche di aerazione e cubature permetteva di giocarci dentro in quattro: non dimentichiamo che il nord è stato fortemente penalizzato dal Dpcm in questo senso. Dall’altro capisco che è una soluzione che può prestarsi a interpretazioni diverse. Di sicuro io sono per il rispetto delle regole».

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