“You cannot be serious” è diventato anche il titolo della sua autobiografia datata 2002, mentre quattro anni dopo i pubblicitari della casa automobilistica Seat ci hanno costruito attorno uno degli spot più azzeccati che memoria ricordi. In quel caso, “on the line” non c’era la pallina ma la ruota della sua auto, e a non essere d’accordo con lui non era il giudice di sedia ma un vigile, che lo multò per aver – secondo lui –parcheggiato fuori dalle righe (VIDEO). “Ogni tanto – ha continuato McEnroe – i miei figli mi dicono di riguardare i miei video, che li posso trovare su YouTube, ma non mi interessa particolarmente. Preferisco affidarmi ai miei ricordi”. Anche perché c’è da scommettere che di quell’edizione 1981 a lui venga in mente soprattutto il trionfo, il primo ai Championships, che gli permise di vendicare la sconfitta contro Borg nella famosa finale di dodici mesi prima, alla quale è stata dedicata l’apprezzata pellicola “Borg McEnroe” uscita nelle sale cinematografiche nel 2017. “Batterlo in finale, quell’anno, fu un sollievo incredibile. Mi spiace solo che sia stata l’ultima volta che ci siamo affrontati a Wimbledon. Guardo Nadal e Djokovic, fra di loro ci sono 58 sfide. Fra me e Borg solo 14. Eravamo sul 7-7 (dopo la finale dello Us Open 1981 vinta dallo statunitense, ndr), e l’avrei affrontato ancora volentieri. In campo eravamo opposti in tutto: stile di gioco, look, atteggiamento, ma fuori siamo più simili di quanto la gente possa pensare. E infatti oggi Bjorn è uno dei miei più cari amici: sono onorato che il più grande rivale della mia carriera sia stato proprio lui”.
Rivedendolo a quarant’anni di distanza, con gli occhi di un tennis che è cambiato parecchio, non è che quel giorno sul Campo 1 McEnroe avesse combinato granché. Anche perché certi suoi atteggiamenti sopra le righe non erano nuovi: il pubblico lo conosceva, aveva già vinto degli Slam, era stato numero uno. Erano semplicemente altri tempi. Oggi una sceneggiata simile passerebbe quasi inosservata, tanto che negli anni è successo di (molto) peggio. Eppure la sua fama è quasi più legata a certi siparietti (indimenticabile la squalifica all’Australian Open del ’90, per somma di ammonizioni) piuttosto che a una carriera favolosa, con sette titoli Slam in singolare e tanto, tantissimo altro. Ma tutto viene ricordato in positivo, tanto che quella BBC che all’epoca non impazziva all’idea di trasmettere in tv le sue parolacce (fedele al tipico rigore british che a Wimbledon ha ancora il suo perché), da ormai vent’anni l’ha voluto come telecronista per i Championships, dandogli la libertà – e non è banale – di essere se stesso, nel bene e nel male. E pazienza se negli anni qualche piccola polemica su alcune sue uscite c’è stata: fa tutto parte del personaggio McEnroe, moderno in un tennis antico e senza tecnologia. “Se ci fosse stato occhio di falco all’epoca – ha chiuso Mac – oggi non saremmo qui a parlare di quanto successo 40 anni fa, o di tanti momenti storici della mia carriera. Anche se avrei sprecato molte meno energie a discutere con gli arbitri”. Lui forse ci avrebbe guadagnato, ma il libro del tennis avrebbe perso alcuni dei suoi capitoli più divertenti.