Stefano Galvani non ha bisogno di presentazioni. Professionista dal 1999, epoca dei tornei "satellite" quando ancora era possibile saltare le qualificazioni di Wimbledon a causa della chiamata ai servizi militari, è stato un giocatore di alto rilievo nel primo decennio del 2000: oltre a vantare tre apparizioni in Coppa Davis con l’Italia, il tennista padovano ha raggiunto la top 100 nell’aprile del 2007, negli anni in cui i dominatori del circuito attuale si affacciavano ai grandi palcoscenici poco più che maggiorenni.
Stile di gioco? Atipico, completamente anacrostico per gli standard di oggi: dritti e rovesci piattissimi, con pochissimo margine di errore e rotazione alla palla misurata col contagocce, sempre e e solo con un unico obiettivo: cercare di togliere il tempo al suo avversario.
“Ho sempre avuto un gioco difficile - ha dichiarato Galvani, nella trasmissione “15 minuti con...” a cura di Sportace - per esprimermi al meglio ho sempre dovuto stare al top della forma. Gli avversari non erano e non sono tutt’ora abituati al mio stile di gioco, anche ora vedo che i ragazzi più giovani fanno fatica a leggere le mie traiettorie”.
Una carriera, quella del classe ‘77, divisa sostanzialmente in due filoni. Due vite tennistiche che hanno portato Galvani la prima volta a ridosso dei primi 100 - fuori di appena 4 posizioni - e la seconda volta al numero 99 Atp, suo best ranking. In mezzo, un incidente gravissimo che ha rischiato di comprotterne la carriera: “Nel 2003, nel pieno della mia attività, ho subito un incidente di auto molto grave: nell’impatto il vetro laterale mi ha tagliato la cornea dell’occhio sinistro. Avrei potuto perdere l’occhio, nonostante un’operazione di trapianto non ho mai pensato di abbandonare il tennis, anche se il dottore aveva già detto ai miei familiari che non avrei potuto continuare. Dopo 14 mesi e 3 interventi ho iniziato di nuovo a cimentarmi con la racchetta, nonostante non vedessi più come prima. Le prime volte lisciavo completamente la palla, dopo è andata meglio ma è stata dura”.
Un evento sì negativo, ma che gli ha consentito di crescere sotto tutti i punti di vista, soprattutto quello mentale considerate le difficoltà dei primi approcci col tennis post-intervento:
“Nella mia carriera avrei potuto fare di più, ma sono anche consapevole dei miei limiti a livello fisico. Sotto l’aspetto mentale prima dell’incidente vivevo completamente alla giornata, solo dopo ho capito quali erano le cose importanti e raggiunto la mia maturità. Purtroppo il tennis non è solo dritto e rovescio”.
Ripresa l’attività a pieno regime, Galvani si è tolto grosse soddisfazioni ottenendo scalpi più che illustri prima di appendere la racchetta al chiodo nell’agosto 2012.