Nella semifinale con Alcaraz, Sinner si è rivelato molto determinato in avvio di punto ma nella fase di gioco lo spagnolo è stato più esuberante

foto Ray Giubilo

Ignoro il numero oltre il quale un confronto più volte reiterato può ritenersi dualismo. Stando ai grandi tête a tête dilungati nel tempo, l’esiguo bilancio di 4 a 4 tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz  poteva sembrare troppo esiguo per azzardare previsioni di sorta circa una semifinale aperta a ogni pronostico. L’unico dato degno di nota poteva arrivare dalla vittoria dall’atesino sulla terra di Umago mentre il resto era accaduto sul duro cemento americano piuttosto che sull’erba inglese di Wimbledon.
Buttando un occhio alle risultanze del torneo croato tuttavia, affiorava che l’eroe di casa nostra aveva fatto andatura con il 71% dei punti vinti al servizio e il 40% di quelli riportati in risposta, contro il 60% e il 30% conseguiti dal collega spagnolo alle stesse voci. Dunque un buon 10% in più che ha fatto la differenza nelle fasi iniziali del gioco.
Un accostamento sicuramente arrischiato quello tra il format due su tre di Umago e il tre su cinque di Parigi ma vale la pena rilevare che anche questo nono confronto racconta di un Sinner deciso in avvio di punto ma di nuovo meno esuberante in fase di scambio. Sicuramente l’iberico della Murcia, è l’ennesimo guerriero  indomito di mentalità spagnola che in più dispone di un tennis stratosferico senza crepe evidenti.
A lui questo Roland Garros regala una finale tutta da giocare, a noi fa omaggio di uno splendido campione del mondo.
E non serve essere grandi profeti per immaginare che tra i due sarà dualismo prolungato. Quello bello, corretto, coinvolgente. Lo stesso che fu di Edberg e Becker, Sampras e Agassi, Federer e Nadal, Djokovic e il resto del mondo. Quello di sfide epiche che hanno tritato record a ripetizione, alzato l’asticella dei valori e segnato nel contempo epoche indimenticabili.