Lo sforzo di Sinner nel cercare di migliorarsi in campo non è tanto distante, in fondo, a ciò che accade a noi nella quotidianità

foto Ray Giubilo

“Il diavolo si nasconde nei dettagli”, recita un noto proverbio. Lo stesso vale per Dio. Si pensi in proposito a un detto di Gesù, che mi ha sempre molto colpito: “Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli, amen, io vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Vangelo di Matteo 10,42). Non basta l’acqua, occorre che sia fresca! E il sapiente Qohelet precisa: “Una mosca morta guasta una coppa di un profumo prezioso; così ha più peso della sapienza e della gloria un pizzico di stupidità” (10,1).

Questi pensieri mi sono sorti leggendo nei giorni scorsi un articolo del Direttore che ci spiegava con arguzia e dovizia di particolari come ormai a Sinner resti di fatto solo un avversario da battere, ma quello più difficile: Carlitos Alcaraz. “Un compito enorme”, scriveva, “ma fatto di dettagli minimi e raffinatissimi, come aggiungere il ricamo perfetto su un modello di haute couture”.

È per questo che Jan, dopo la sconfitta patita dal Niño nell’ultima finale degli US Open, ha deciso di uscire dalla sua comfort zone, variando il gioco, mescolando un po’ le carte. Il paradosso è che questa scelta, messa in pratica con tutti gli altri avversari, si sta rivelando rischiosa. Per intenderci, nel torneo di Pechino in cui ha appena trionfato, se avesse perseverato nella tecnica della mera potenza e precisione da fondo campo, che pian piano soffoca il malcapitato dall’altra parte della rete, ciò gli sarebbe bastato per vincere comodamente. E invece, variando il suo gioco, ha lasciato per strada un paio di set. Ma se non si allenasse così in partita – altro paradosso – come potrebbe essere pronto per la prossima sfida con Carlitos?

Ciò vale pure nella vita quotidiana. Non bisogna mai smettere di cercare, di lavorare sui dettagli. Non in nome di uno sfiancante e narcisistico perfezionismo, ma per fare bene, sempre meglio, ciò che ci è chiesto di fare. In particolare nelle relazioni, mettendosi in ascolto di chi si ha di fronte in quel momento, soprattutto quando si pensa di conoscerlo già a fondo. Quante volte, a posteriori, ci pentiamo di non aver messo tutto la nostra attenzione nell’ascoltare, con gli orecchi e in senso più lato, la persona o la situazione appena passata (cioè, in quel momento, presente!), persi in pensieri di un futuro immaginato, dunque solo immaginario? Forse è per questo che ancora Gesù, in vari contesti, insiste: “State molto attenti a come, a chi, a cosa ascoltate”… Mettendosi in ascolto del reale, allenandosi in tale esercizio infinito, si arriverà pian piano – senza che sappiamo davvero come – a raffinare i dettagli, per essere pronti, al momento opportuno, alle poche battaglie decisive, quelle davvero essenziali, che la vita ci pone di fronte.

Ovviamente tutto ciò senza esagerare. Forse non abbiamo bisogno di armarci della corazza da guerriero cinese, come quella della statua in terracotta che gli organizzatori del torneo di Shanghai hanno fatto trovare a Jan al suo arrivo… Possiamo però fare tesoro della sapienza rabbinica, che conia un altro paradosso statuario: “Non spetta a te portare a termine l’opera… ma non sei libero di sottrartene”. In quel “ma” c’è il dettaglio decisivo: tutta la nostra irripetibile esistenza, in ogni oggi.