Detta così sarebbe un risultato che non sta né in cielo né in terra, con tutto il rispetto per il pur buon Sandgren. In realtà, Wawrinka aveva chiarissimi problemi, al maledetto ginocchio sinistro operato dopo Wimbledon, come una brutta cicatrice non perde l’occasione di ricordargli. Stan è andato in crisi già in avvio e non si è mai ripreso, faticando tantissimo negli spostamenti laterali, quando doveva caricare sul ginocchio. Vien da chiedersi come abbia fatto al primo turno a battere Ricardas Berankis, che non sarà un fenomeno ma l’esperienza per vincere contro un avversario menomato la dovrebbe avere. Di sicuro l’ha avuta Sandgren, che nel circuito maggiore aveva vinto solo due partite lo scorso anno a Washington, e il primo match Slam l’ha portato a casa l’altro ieri contro Chardy. Eppure ha capito al volo cosa fare e come farlo. E non era una passeggiata: Wawrinka era menomato, certo, ma c’era da battere anche il peso del suo cognome, le emozioni, il palcoscenico, il peso del risultato in arrivo e chi più ne ha più ne metta. In sintesi, c’erano le condizioni per combinare comunque un pasticcio, invece l’americano si è armato di pazienza e una volta trovato il primo break del match è stato impeccabile, mostrando un tennis niente male e una gestione del match persino sorprendente. È andato a prendersi i punti, sul proprio servizio ha permesso a Wawrinka di arrivare una volta a 30 (segno che non si è mai distratto), e se gli Stati Uniti hanno un posto al terzo turno del torneo il 50% del merito è il suo. Al termine del match ha esultato appena, per rispetto. Perché anche lui è passato da un’operazione, all’anca, perciò sa cosa significhi scendere in campo col timore di farsi male di nuovo, e cercare pian piano delle sicurezze.

“Non è bello sentirsi così in campo – ha spiegato Wawrinka – ma devo comunque essere positivo. Già essere riuscito a giocare due incontri è una vittoria: quando sono venuto qui non me lo sarei aspettato”. Sandgren ha raccontato di aver visto la vittoria di Wawrinka allo Us Open del 2016 in un bar con amici, come uno qualsiasi dopo che aveva perso nelle qualificazioni, bevendo qualche birra e chiedendosi come lo svizzero facesse a giocare a certi livelli. Una quindicina di mesi dopo l’ha battuto. “Sapevo che non era al 100% – ha detto – ma prima del match ho cercato di pensare che lo fosse, di convincermi che avrebbe giocato al massimo delle sue possibilità. Non è stato così, e un paio di volte al cambio di campo ho guardato se invece di andare a sedersi veniva verso di me, per ritirarsi. Non l’ha fatto, e trovo ammirevole che ci abbia provato fino alla fine”. In un colpo solo Sandgren si è preso miglior vittoria in carriera, miglior risultato in carriera e forse anche miglior occasione in carriera, visto che il terzo turno lo giocherà col mancino tedesco Maximilian Marterer, numero 94 ATP, passato in 5 set su Fernando Verdasco pur vincendo ben sette punti in meno. “Ero già contento di aver vinto la mia prima partita in uno Slam, e ora ne ho vinta una seconda. Spero di vincere anche la terza”, ha sintetizzato con la semplicità di chi a certi livelli ha anche pensato di non arrivarci mai, e quindi non si pone alcun obiettivo. “Quando giochi per tre o quattro anni a livello Futures e Challenger è come vivere nell’oscurità. Di attenzioni non ce ne sono, e uno va avanti solo perché ama giocare e ama questa vita. Se non la pensassi così, probabilmente avrei smesso, perché di soldi e fama, ai livelli a cui ho giocato per la maggior parte della mia carriera, non se ne vedono. Per questo, ho imparato a concentrarmi su aspetti più importanti della vita, piuttosto che sui soldi o sul tipo di macchina che guido in base al mio livello di gioco. Sono cose che per me non contano nulla”. Gliene importerà poco, ma sono frasi che gli faranno guadagnare più di un tifoso.
