Ana Konjuh ha vinto l’Australian Open Junior. Lo ha dedicato alla sorella, colpita da una grave malattia al cervello con 50 casi in tutto il mondo. Ne è miracolosamente guarita.
La famiglia Konjuh di nuovo riunita
 
Di Riccardo Bisti – 30 gennaio 2013

 
Vincere uno Slam Junior a 15 anni è sempre una bella impresa. Specie se vinci sia singolare che doppio. Non hai la certezza di diventare un campione, ma la strada è quella giusta. Lo sa bene la giovane croata Ana Konjuh. Ma il suo “doblete” a Melbourne ha un valore particolare. Ana è cresciuta a Dubrovnik, città di mare dove l’ItalDavis ha perso contro la Croazia nel 2008. Terza di quattro figlie femmine, ha iniziato a giocare per imitare la sorella maggiore Ana. Dodici mesi fa era numero 860 nel ranking ITF: adesso è numero 3 dopo aver vinto sette tornei su tredici. Anche Goran Ivanisevic si è innamorato di lei. Ma dietro quel sorriso c’era una tristezza atroce. Lo scorso autunno, alla sorella maggiore Antonia (un anno più grande) è stata diagnosticata una malattia estremamente rara. In famiglia hanno vissuto 40 giorni di terrore e angoscia. “I medici ci hanno detto che sarebbe stato più facile se fosse stata colpita da un tumore” ha raccontato papà Mario. Le malattie sconosciute sono le più subdole. Era una normale mattina di ottobre, quando Antonia è collassata per terra e si è bloccata. L’hanno portata in ospedale e la prima diagnosi parlava di epilessia. Ma le cose sono peggiorate, giorno dopo giorno. Ha perso la capacità di parlare e non riconosceva più nessuno fino a cadere in uno stato di coma per 40 giorni. “Ha passato in ospedale il giorno del 16esimo compleanno, ha perso molto peso e le funzionavano soltanto il cuore e i polmoni” racconta Mario Konjuh. Dopo oltre un mese è arrivata la diagnosi: si tratta di una malattia rarissima, una specie di infiammazione al cervello di cui soffrono solo 50 persone al mondo, tutti anziani. E’ stata scoperta cinque anni fa negli Stati Uniti.
 
“Ci avevano detto che è una malattia grave e incurabile – dice papà Mario – ci è cascato il mondo addosso. Il suo cervello aveva smesso di funzionare, lei generava suoni del tutto inarticolati, il suo viso era una macchia…”. I genitori non l’hanno abbandonata neanche per un istante, anche se frustrati da una sensazione di impotenza. “Non c’è niente di peggio nel provare una sensazione del genere per tua figlia”. I Konjuh hanno trascorso intere notti su internet in cerca di un indizio per alimentare la speranza. Alla fine l’hanno trovata. L’ancora di salvezza era rappresentata da due medici con base a Londra, specializzati nelle malattie autoimmuni. Insieme ai medici croati, hanno fatto tutto il possibile per aiutare la piccola Antonia. Oltre alla scienza ci sono state le preghiere, forti e intense. La stessa Ana, i genitori, gli amici, persino gli sconosciuti. Alla fine, si è verificato il miracolo. Dopo circa 30 giorni, Antonia si è risvegliata dal coma. Un paio di giorni dopo ha pronunciato una parola di senso compiuto, dopo una decina ha cominciato a mangiare con un cucchiaio. E il dodicesimo giorno ha ripreso a camminare. “E’ stato un miracolo medico – dice papà Mario – Antonia è tornata dal mondo dei morti. La malattia se n’è andata con la stessa velocità con cui si era impossessata di lei”. In quel periodo, gli allenamenti di Ana sono passati in secondo piano. Anche lei si è dedicata, anima e corpo, alla cura della sorella maggiore.
  
C'è un dolce parallelismo tra le storie di Ana e Antonia. Quando la sorella si è svegliata dal coma, la Konjuh ha ripreso a giocare bene. E ha ricominciato a vincere i tornei. “In effetti troviamo una similitudine tra gli alti e bassa di Ana e Antonia – dice Mario – la vita deve andare avanti, ma in quel momento Antonia era la nostra unica priorità”. Mentre la sorella era in ospedale, Ana continuava ad allenarsi. Ma non era un piacere, era una tortura. Proprio in quel periodo ha giocato il suo primo torneo ITF, nella natia Dubrovnik, senza ottenere risultati. Ne ha giocato un altro, facendosi male. Ma non si è arresa e ha convinto il padre a lasciarla andare negli Stati Uniti, dovre avrebbe giocato l’Eddie Herr e l’Orange Bowl. “Le ho detto di ascoltare la sua voce interiore” dice il padre. Inutile dire che Ana ha vinto entrambi i tornei, dedicando alla sorella ogni singola vittoria. E ha fatto lo stesso all’Australian Open. La scena più bella si è vista qualche giorno fa, all’aeroporto di Zagabria, quando Ana è tornata da Melbourne. La famiglia si è riunita in un abbraccio scacciapensieri. Di nuovo tutti insieme, nella speranza che il dolore sia alle spalle. E che il futuro sia sempre più luminoso, sia dentro che fuori dal campo da tennis.

L'arrivo di Ana Konjuh a Zagabria