Tutt’altro che in discesa la strada di Jannik Sinner verso il sogno, molto avventuroso ma non irreale, del Grande Slam

foto Ray Giubilo

Poche ore di dolce sonno, le foto di rito con la Coppa, poi via in aeroporto, dove è stato celebrato e conteso da tifosi, italiani e non solo, e accolto da hostess visibilmente emozionate a bordo del suo volo per Dubai.

Neanche a farlo apposta, lo stesso volo di Sascha Zverev, prima di dividersi verso altre destinazioni. «Come ho festeggiato ieri sera? Una cena tutti insieme per rilassarci un poco, non abbiamo fatto nulla di speciale», aveva detto in mattinata all’Albert Park di Melbourne durante il foto shooting, sotto qualche goccia di pioggia.

«Dà più gioia vincere o più tristezza perdere?», gli viene chiesto, e l’immagine di Zverev affranto sulla sua spalla è subito lì. «Forse più tristezza perdere – ammette il ragazzo – Purtroppo è un  difetto che abbiamo tutti, pensiamo più a quello che ci manca che a quello che abbiamo». De André e una manciata di filosofi sarebbero d’accordo.

La vita del numero uno del mondo è un uragano di impegni e di emozioni, la sua mente un posto tranquillo, illuminato bene, dove pettinarsi i ricordi e mettere in ordine l’agenda. Perché il terzo Slam è già in bacheca e ora bisogna pensare al futuro, prossimo e più lontano.

I PROSSIMI IMPEGNI

Il primo appuntamento è mercoledì, al Quirinale, con il Presidente Mattarella, per celebrare la vittoria di gruppo della Coppa Davis, a cui ora si è aggiunta come l’anno scorso quella di Melbourne. «Se ci sarò? Mmmhh… devo ancora decidere». Il Presidente è comprensivo, potrebbe firmare la giustificazione. Proprio come si fa a scuola, e qui a Melbourne abbiamo capito che il circuito per Jan e gli altri assomiglia a una infinita Hogwarts con racchette e palline al posto di libri di testo e incantesimi. «Jannik appartiene proprio ad un altro universo», ha ammesso Zverev a testa bassa, abbastanza biondo ma non abbastanza malvagio per interpretare uno dei Malfoy. «Nella finale ho servito meglio io, ma Jannik fa tutto il resto meglio di me: si muove meglio, colpisce meglio di me di dritto, di rovescio, risponde meglio, fa meglio le volée. I suoi numeri sul cemento parlano da soli».

In campo rientrerà a Doha, il 17 febbraio, su cemento outdoor, dopo aver scelto di saltare l’impegno indoor di Rotterdam, il 3 febbraio, dove avrebbe dovuto difendere il titolo. Poi la programmazione prevede Indian Wells e Miami o magari solo uno dei due, si vedrà.

NUMERO 1 FINO A MIAMIALMENO

Jannik del resto è sicuro di mantenere il n.1 fino al Masters 1000 della Florida – ha 11.830 punti in classifica, il distacco veramente simile al vuoto interstellare con Zverev è di 3695 – e di scavalcare Alcaraz per numero di settimana al vertice. Ora sono 34, il sorpasso avverrà il 17 febbraio quando diventeranno 37 contro le 36 di Alcaraz. Come Djokovic, Jan sgretola pian piano le certezze della sua concorrenza generazionale. Poi, certo, c’è l’incognita del processo al Tas per il ricorso della Wada nella questione Clostebol. L’udienza è fissata per il 16, 17 aprile, all’indomani del torneo di Monte-Carlo e durante quello di Monaco di Baviera, dove in teoria Jan sarebbe iscritto. «Non abbiamo ancora deciso che fare, penseremo a tutto quando torneremo dall’Australia. Come difendiamo Jannik da questi pensieri? Non ne parliamo tutti i giorni, e poi come sempre ci concentriamo sulle cose che possiamo controllare», ha spiegato coach Vagnozzi nei giorni scorsi. «La data dell’udienza c’è, e io sono fiducioso perché so di avere la coscienza pulita, altrimenti non avrei potuto giocare così», aggiunge la Volpe.

LA LINEA DELLA WADA

Il Tas dovrà giudicare le ragioni della Wada (agenzia mondiale antidoping), che dopo l’assoluzione da parte del Tribunale esterno nominato dall’Itia (l’antidoping del tennis) lo scorso agosto ha presentato appello. «Sinner non ha né colpa né ha commesso negligenza», recita la sentenza, per la Wada, che ha chiesto uno o due anni di sospensione, il problema sta nella seconda parte. Nei due controlli dello scorso marzo nel corpo di Jannik sono stati trovati prima 86 pg/mL, poi 76 pg/ml, una quantità infinitesimale – si parla di miliardesimi di grammo – che non sono stati ritenuti in grado di migliorare le prestazioni dell’atleta. Il  professor Jean-François Naud, il dottor Xavier de la Torre, e il professor David Cowan, che hanno effettuato le analisi, hanno ritenuto molto plausibile «che una concentrazione stimata per eccesso in 100 pg/mL è una piccola percentuale e può essere ottenuta da una effettiva contaminazione da un altro corpo», e quindi hanno accettato la spiegazione degli avvocati di Sinner: la contaminazione è avvenuta attraverso un massaggio che l’allora fisio di Jannik, Gianluca Naldi gli ha somministrato a Indian Wells, dopo essersi curato una ferita ad un dito con il Trofedermin, una pomata che contiene il Clostebol, un metabolita del Testosterone. 

I TRE GIUDICI

Jacques Radoux, Ken Lalo e lord Joh Dyson, i tre giudici nominato dal Tas (il tribunale sportivo internazionale) dovranno decidere se Jannik ha fatto tutto ciò che era possibile per evitare il contatto. Le azioni del team sono sotto la responsabilità del giocatore, ma davvero diventa difficile trovare la linea di confine. «Arriveremo a fare i test ai coach?», ha chiesto ironico Pat Cash durante una intervista a La Stampa. E la Wada ha già fatto sapere che le regole cambieranno per quanto riguarda le positività a quantità minime, come nel caso di Sinner. 

In teoria il Tas deve applicare il codice, quindi o assolvere Jan o comminargli un anno di sospensione, o magari anche due: una botta terribile non solo per Sinner ma per l’intero tennis. C’è anche chi sostiene che la vicenda di Iga Swiatek, fermata solo per un mese per una vicenda in realtà diversa (nel suo caso un farmaco lecito è stato contaminato in seguito, mentre il Trofodermin è comunque illegale) potrebbe fornire un precedente. Vedremo come la pensano i tre giudici che opereranno a Losanna: l’ex tennista Radoux, capitano di Coppa Davis del Lussemburgo; lo ‘squalo’ americano-isareliano Lalo, amministratore delegato di una grande azienda che importa veicoli europei negli Usa, noto per essere un duro, già presente nella giuria che ha giudicato Sara Errani e portato al bando della Russia dall’atletica leggera; e Lord Dyson, 81enne ex giudice della Corte Suprema Inglese, subentrato alla ‘colomba’ Jeffrey Benz che in un primo tempo era stato nominato da Sinner, per via di un possibile conflitto di interessi di Benz.

Il grande accusatore di Jannik, Nick Kyrgios, per il momento si è taciuto («Kyrgios positivo al Maalox’, ironizzava una fake news ieri sera…), l’ex n.1 Kafelnikov, grande appassionato di gioco d’azzardo, non nasconde la sua ostilità,  e c’è chi attacca pesantemente Sinner anche tra i media stranieri, come la tedesca ‘Bild’ – guarda caso alla vigilia della finale con Zverev… – che parla di ‘scandalo doping. Da qui ad aprile attendiamoci altre bordate. Nella speranza che il caso Sinner porti ad una semplificazione e razionalizzazione dell’intero settore dell’antidoping, oggi troppo frammentato e opaco.  

OBIETTIVO PARIGI

Poi, ovviamente, c’è il campo, ci sono gli obiettivi e gli orizzonti futuri. Uno è sicuramente presentarsi in forma per la stagione sulla terra rossa, con Roma ma soprattutto Parigi, dove l’anno scorso raggiunse le semifinali. «Dovrà trasportare i perfetti tempi di gara che ha sul cemento – sostiene Vincenzo Santopadre – anche sulla terra rossa. Servono aggiustamenti, ma soprattutto un po’ di pazienza. Insieme all’erba – secondo, o forse primo obiettivo di importanza dell’anno – l’argilla è il terreno dove Jannik ha più margini di miglioramento, e questo, come ha lui stesso sottolineato, «è un bene, non un male». Tatticamente Jan è molto migliorato, come pure nella gestione dei momenti chiave del match, e in quella del servizio (ora è più efficace anche nella scelta del piazzamento e delle rotazioni). Sulla terra servono più tempo per chiudere il punto e più opzioni; sul piano tattico la smorzata diventa un’arma molto importante. «Mi sono accorto qui che devo essere più aggressivo con la seconda di servizio, e andare più spesso a rete», ha detto Jannik.

LE CHANCE PER UN GRANDE SLAM

E’ scontato, non irreale, ma molto avventuroso al momento, immaginare un Sinner capace di chiudere uno Slam non ufficiale – i quattro major vinti di fila, visto che è già a quota due – oppure il Grande Slam con il bollino blu, cioè nello stesso anno solare.

«Difficile, molto difficile, ma una possibilità c’è», sentenziano i baffi augusti ed esperti di John Newcombe

«Il problema è che quando ci sono tanti buoni giocatori uno può rovinarti il progetto giocando una semifinale o una finale qui o là», analizza l’altro aussie Pat Cash. «Ma oggi la concorrenza non è tantissima, Jannik ha una chance nei prossimi due anni». Specie ora che Djokovic è infortunato (veramente, come ha certificato sui social con una tac inviata agli ‘scettici’ del suo muscolo strappato) e Alcaraz in crisi di fiducia. Si parla addirittura di un possibile addio a Juan Carlos Ferrero, il coach che lo segue da quando aveva 13 anni, intanto al suo angolo si è aggiunto Samuel Lopez. 

IL REBUS DEL TEAM

Anche per Jannik si pone il problema della sostituzione di Cahill, che ha confermato il suo addio a fine anno. «Ma cercherò di fargli cambiare idea», ha ammesso Jan. Sono circolati come sempre nomi altisonanti, proprio come dopo l’addio a Piatti: McEnroe, Becker, Agassi, Ivanisevic, Ljubicic. Tutti supertecnici, ma qualcuno sinceramente ‘ingombrante’, e che si fatica a vedere integrato anche solo parzialmente in un team che ama il basso profilo, molto ‘schiscio’ e poco protagonista come piace a Jannik. Non è vero che Cahill ha chiesto aiuto ad Agassi (piuttosto gli ha dovuto pazientemente spiegare come procede il lavoro, perché il Kid è un grande tifoso di Jannik), mentre i nomi di Ljubicic e Ivanisevic, che coniugano la grande esperienza da giocatori e da consiglieri rispettivamente di Federer e Djokovic, sono più credibili. Ai loro vanno aggiunti quelli di Magnus Norman, l’uomo che fece grande Wawrinka, referenziatissimo e molto serio, ma anche molto freddo, e Carlos Moya, che ha seguito tutta la carriera di Nadal, è più latino nell’approccio quindi potrebbe intendersi meglio con un team fatto di italiani e argentini (lo stesso Vagnozzi, il trainer Marco Panichi e l’argentino Ulises Badio, ex fisio di Djokovic esperto anche in medicina cinese). E soprattutto svelargli i pochi segreti della terra che ‘l’uomo che viene da un altro universo’, ancora non conosce.