Riproponiamo l’intervista di Stefano Semeraro a Lorenzo Musetti uscita oggi su La Stampa

foto Ray Giubilo

Quella che inizia oggi a Torino sarà un’edizione storica delle Finals Atp per l’Italia: per la prima volta saranno in gara quattro azzurri: Sinner e Musetti in singolare, Bolelli e Vavassori in doppio.
Lorenzo, ci siamo. Ma quante emozioni. Novak le aveva già rimontato due volte due set al Roland Garros, e negato la finale alle Olimpiadi e a Wimbledon. Stavolta in compenso, le ha ‘regalato’ le Finals. Ripagato?
«Sicuramente è una bella notizia. E’ un traguardo che rincorrevo da tempo, e ancora non ho bene realizzato quello che è successo.… Ma con la testa sono già a Torino e cercherò di preparare nel miglior modo la partita con Taylor Fritz. I match che ho vinto ad Atene mi daranno fiducia per affrontare le Finals nel migliore dei modi».
Giocarsela con gli otto Maestri era un suo sogno di bambino?
«E’ una cosa che sognavo, me la sono andata a prendere, credo di essermela guadagnata. Avrei preferito vincere la finale, alzare il trofeo e conquistare le qualificazioni con una vittoria. Andarci così è comunque storico, sia per l’Italia sia per me. Spero di regalare uno show ai nostri tifosi».
Quest’anno è entrato per la prima volta fra i top 10: come si guarda il mondo del tennis da lassù?
«Si sta molto bene. Essere fra i primi dieci aiuta a programmarsi, e dal punto di vista logistico. Poi però devi confermarlo ogni settimana in campo. Vale anche per il n.1 del mondo: se non vinci, il ranking non conta molta. A me fa piacere perché significa avere raggiunto un obiettivo importante che cercavo da sempre».

Per diventare più forti, dice Jannik Sinner, bisogna uscire dalla comfort zone: è d’accordo? Lei nel 2025 ha raggiunto almeno le semifinali in tutti i grandi tornei sulla terra battuta, che è la sua superficie preferita, ma negli ultimi due anni ha fatto grandi progressi soprattutto sul veloce.
«Uscire dalla comfort zone è importante, non solo nel tennis ma nella vita. E’ una questione di crescita, devi saper guardare oltre l’immediato, e ragionare di più sul futuro. Alla fine, si tratta di azzeccare le scelte che contano, una cosa fondamentale anche nella carriera di un tennista».
A proposito di Jannik, che ritroverà a Torino: lui e Alcaraz sono davvero di un altro pianeta?
«Adesso dominano, ma c’è chi può avvicinarli. Non si tratta tanto di giocare bene a tennis, quello lo sanno fare in tanti. E’ più un fatto mentale, la convinzione di poter essere così forti, che loro hanno e che oggi fa la differenza».
Musetti l’artista, lo showman, il più bel rovescio del circuito: ma forse ci si dimentica che lei è anche uno dei ‘difensori’ più grintosi del circuito…
«E’ una parte un po’ meno nota del mio repertorio, ma è vero che c’è. La mia sfida è cercare di essere sempre più aggressivo, nel tennis moderno non c’è spazio solo per rimettere la palla in campo. La chiave per me in futuro sarà di avere un tennis il più vario possibile, a 360 gradi».
Un figlio di un anno e mezzo, uno in arrivo a fine novembre: Ludovico è già fiero di papà Lorenzo?
«Mio figlio adesso più che altro inizia a sentire che sono tanto via. Quando sono tornato dalla Cina, una trasferta lunga, me lo ha dimostrato con molto affetto. E e mi ha fatto piacere».

I suoi, di genitori, la seguono da sempre con grande discrezione.
«Ci sono, mi dimostrano sempre il loro supporto. Ma sono più contenti della mia maturazione come persona che dei miei successi in campo».
Dopo le Finals toccherà alla Coppa Davis, dove per la prima volta sarà numero 1: sente la responsabilità?
«La Davis l’ho vinta due volte, ma non sono mai stato protagonista. In passato in Coppa ho avuto problemi a controllare le emozioni. Questa può essere l’occasione giusta per rifarmi».
A Fianco di Flavio Cobolli, con cui ha diviso tutte le convocazioni in azzurro sin dai tornei giovanili…
«Ne abbiamo parlato. Abbiamo giocato tante volte in azzurro, la Davis è un po’ un compimento di questa storia, e ne siamo felici tutti e due».
Il no di Sinner ha invece scatenato grandi polemiche, lei che ne pensa?
«In Italia quando si parla di nazionale si sentono tutti convocati, nel tennis e nello sport in generale. Capisco essere così esaltati dalla maglia, ma Sinner ha tirato la carretta per tre stagioni molto intense. Chi giudica, spesso non conosce i meccanismi. Jannik ha diritto a scegliere quello che è meglio per lui».
E’ il formato della Davis che andrebbe adattato ai tempi?
«Se si giocasse ogni due anni, come un mondiale, molti sarebbero più spinti a giocarla. Il calendario del tennis è sempre più impegnativo, se uno non vuole giocarla ha le sue ragioni».