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Cecchinato: «Orgoglioso di aver sbloccato il tennis italiano. Ho capito che per tornare in alto devo allenarmi di più»

Numero 16 nel 2018, Marco Cecchinato l’anno scorso dopo un’ottima partenza ha vissuto un anno difficile. Capiti e analizzati gli errori, si è resettato per riguadagnare i quartieri alti del ranking. Con un sogno: sfidare Federer al Roland Garros.


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Foto Paul Zimmer

DOHA. Nel 2018 una stagione fantastica, con due titoli Atp, a Budapest e Umago, e la semifinale al Roland Garros - la prima in quarant’anni di un italiano - strappata nei quarti a Djokovic. A posteriori, la data di inizio del ‘rinascimento’ azzurro. Il torneo che ha fatto capire a tutti che sì, si poteva fare. Nel 2019, una stagione quasi a rovescio dopo l’ottima partenza con le semifinali a Doha e il terzo titolo a Buenos Aires. Il 2020, per Marco Cecchinato, sarà l’anno della prova del nove. Un foglio bianco da scrivere evitando gli strafalcioni degli ultimi dieci mesi.

Marco, nel 2019, mentre esplodevano Berrettini e Sinner, tu sei andato in crisi: cosa è successo?

«E’ stato un anno difficile, soprattutto dal punto di vista mentale. Avevo iniziato bene la stagione e in realtà non ho mai giocato male. Tante partite le ho perse al terzo set, con gente forte come Schwartzman e Chardy, gente che vince tornei Atp. Però sfiducia e fiducia sono decisive nel tennis. Perdi 3-4 partite e di colpo non entri più in campo tranquillo».

Hai capito quali sono gli errori da non ripetere?

«Di errori ne ho fatti due o tre, li ho capiti e analizzati con mio team…»

Mentali, tecnici, di programmazione?

«Un po’ di tutto. Ma dal 2019 ho imparato tanto. Ad esempio che per rimanere ad alto livello bisogna lavorare duro. Io pensavo che sarebbe bastato allenarmi come in passato, invece tutti i migliori cambiano, aggiungono, lavorano tanto sulla parte fisica. Al numero 16 però non sono certo arrivato per caso: ho vinto tre tornei Atp e raggiunto una semifinale Slam. Ora sto tornando a fare le cose bene. Ho 27 anni, sono nel pieno della carriera. E sto maturando, ho capito cosa significa il sacrificio. Mi restano nove, dieci anni di carriera e sono pronto a mettermi in gioco»

Foto Paul Zimmer

Tecnicamente da dove si riparte?

«Il mio gioco è di alto livello se è imprevedibile. Se il mio avversario non sa cosa sto per fare. Nel 2018 avevo tante opzioni: smorzata, serve & volley, sapevo andare a rete e restare dietro. Devo ripartire da lì. A Marbella, dove ho svolto una ottima preparazione, con il mio coach Uros Vico ho lavorato tanto sullo slice, l’obiettivo è essere aggressivo, e non attendista come l’anno scorso. A fine stagione ero in sfiducia, quindi facevo più fatica a venire a rete, ma in fondo ho chiuso l’anno da n. 71, che non è un dramma. E sono carico per ripartire».

La tua semifinale a Parigi nel 2018 ha dato il via alla rinascita del tennis italiano: orgoglioso?

«Sì, perché l’hanno riconosciuto tutti, a partire da Fognini e Berrettini. Era tempo che non si raggiungeva una semifinale in uno Slam, io ho dato il via e ora nel ranking mondiale siamo in 8 fra i primi 100. Ci motiviamo, quasi c trasciniamo a vicenda, per me è importante avere davanti giovani come Matteo e Jannik, e vedere altri giovani come Musetti e Zeppieri che crescono. L’Italia oggi del resto è una delle nazioni più forti al mondo».

Ti aspettavi un 2019 così da Berrettini e Sinner?

«Quella di Matteo è stata un’annata straordinaria, le Atp Finals sono state la ciliegina. Sono contento per lui, perché ha lavorato tanto. Sinner a 18 anni ha ottenuto risultati da campione, e ho già sentito paragoni con Djokovic. Quello che mi sento di dire è che la strada è ancora lunga. Spero che continui ad allenarlo Riccardo Piatti, uno dei migliori al mondo. Con lui è in buonissime mani, non deve affidarlo ad altri».

Foto Paul Zimmer

Anche tu sei passato da Bordighera…

«Sì, quattro anni fa, e proprio ricordando quell’esperienza per il 2020 ho aggiunto al mio team, oltre al fisioterapista Nicola Santobianchi che mi seguirà in qualche torneo, anche il videoanalist Danilo Pizzorno. L’ho conosciuto a Bordighera, è molto bravo, ti fa vedere tante cose in più, per questo era tempo che volevo tornare a lavorare con lui».

Coppa Davis, Atp Cup, tornei dello Slam, classifica: qual è il traguardo 2019?

«Alla Davis mancano due mesi, ho tanti punti da difendere, vedremo. Corrado Barazzutti è un capitano sa scegliere sempre bene. Tutti i tornei poi sono importanti, non ce n’è uno in particolare. Voglio solo tornare ad alto livello. Un obiettivo per quest’anno ce l’ho, ma me lo tengo per me, lo conosce solo il mio team. A lungo termine, prima di smettere vorrei invece migliorare il mio best ranking, questo sì. Significherebbe entrare fra i primi 15, un obiettivo abbastanza grosso. I sogni invece sono due: il primo è incontrare Federer…».

Prima che si ritiri…

«Lo farà prima di Nadal e Djokovic, e secondo me giocare contro Roger è un’emozione indescrivibile. Visto visto quello che è successo a Matteo a Wimbledon l’anno scorso? Giocare con lui può metterti metterti in imbarazzo».

Dove lo vorresti affrontare?

«Non sull’erba! Magari al Roland Garros, sulla terra, dove sono più a mio agio e credo che potrei fare partita pari. Riuscire a batterlo, poi, sarebbe una soddisfazione che mi porterei dietro per tutta la vita».

Il secondo sogno è giocare a San Siro con la maglia del Milan…

«E’ un sogno un po’ complicato, lo so. Non in campionato ovviamente, mi basterebbe una partitella, un’occasione qualunque a San Siro…».

Rivolgiamo ufficialmente un appello a Maldini e Boban. Per chiudere: contento dell’arrivo di Ibrahimovic?

«Sì, sono felice, speravo che venisse al Milan. Può dare un po’ di entusiasmo alla squadra e alla società per puntare all’Europa League, Tornare a giocare in Europa non sarebbe male». Un passo alla volta, come vuole fare Marco.

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