L’ex numero 1 del mondo – ritiratosi lo scorso anno dopo le Olimpiadi di Parigi – ha ricordato le circostanze che lo hanno indotto a salutare il tennis professionistico

Foto Ray Giubilo
Andy Murray ha avuto una carriera più lunga del previsto, se si considera che un serio infortunio all’anca sembrava non avergli lasciato più chance di continuare a giocare già nel 2019. Grazie ad un delicato intervento chirurgico e alla sua straordinaria forza mentale, l’ex numero 1 del mondo è riuscito ad allungare il suo ‘viaggio’ nel circuito professionistico, sebbene il suo livello si sia abbassato rispetto a qualche anno prima. Lo scozzese si è dovuto accontentare di un ruolo di secondo piano fino al suo ritiro avvenuto l’anno scorso, dopo aver rappresentato per l’ultima volta la Gran Bretagna alle Olimpiadi di Parigi. Il tre volte campione Slam non può avere rimpianti, avendo sempre dato il massimo sul campo da tennis sfidando a viso aperto mostri sacri come Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic.
Ospite nell’ultimo episodio del podcast ‘The Romesh Ranganathan Show‘, Andy ha spiegato quali erano le sue sensazioni al momento del suo ritiro: “Non riuscivo più a giocare al livello che desideravo a causa dei miei problemi fisici, quindi sentivo di non avere molto altro da dare a questo sport. Il mio corpo mi aveva fatto capire più di una volta che era giunto il momento di dire basta. Circa dieci giorni prima di concludere la mia carriera, mi sono guardato indietro e ho ripensato a quanto fosse incredibile tutto ciò che avevo ottenuto.” Murray ha confidato che aveva paura di non trovare una nuova dimensione dopo il tennis: “Ero molto preoccupato per come sarebbe stata la mia vita dopo il ritiro, ma ora che ci sono dentro la adoro. Il contesto intorno a me è cambiato notevolmente, così come il mio rapporto con i media. All’inizio della mia carriera, avevo perso fiducia in loro perché alcune mie esternazioni erano state ingigantite e avevano generato inutili polemiche.”
La leggenda britannica si è goduta ogni singolo frangente della sua carriera: “Quando ho mosso i miei primi passi nel circuito professionistico, il mio sogno era soltanto di arrivare in finale a Wimbledon una volta. Non mi sarebbe importato di vincere o perdere, contava solo essere lì. Con il passare degli anni, ho cambiato prospettiva e non mi bastava più raggiungere la finale in uno Slam. Se la perdevo, mi interrogavo sui motivi di quella sconfitta e analizzavo il mio gioco per migliorarlo ulteriormente. Quando sei un atleta di primissimo livello, c’è sempre la pressione di dover fare qualcosa in più. Ritengo che sia una delle cose più belle e difficili dello sport.”

