IL MISTERO DELLA MANICA ARROTOLATA
Ma chi è Ruben Ramirez Hidalgo? “Un umile lavoratore”, come si definisce lui stesso, che ha giocato la prima partita da ‘pro’ nel 1993, quando fra i top ten c’era ancora Ivan Lendl, e nell'era dei vari Kyrgios, Zverev e Coric è ancora in pista a sgomitare, dopo essersi più volte travestito da grandissimo. Nel 2006 ottavi a Roma battendo Coria e Safin, ottavi a Parigi battendo David Ferrer, e un posto fra i top 50. Nel 2008 a Monte Carlo il match della vita contro sua maestà Roger Federer, perso 7-6 al terzo nonostante un vantaggio di 5-1. “Quell’incontro me l’hanno ricordato in ogni parte del mondo, ma il tennis è così. Non si può vincere sempre”. Ora lo fa meno spesso di un tempo, ma il suo 2015 è stato comunque positivo. Oltre a un titolo Futures, ha raggiunto due semifinali e cinque quarti a livello Challenger, l’ultima proprio in Marocco, dove all’esordio si è preso pure il lusso di battere un top 100 come il bosniaco Damir Dzumhur, classe 1992. Un altro bambino in confronto a lui, più vecchio di Ivo Karlovic, più vecchio di Tommy Haas, più vecchio di Radek Stepanek, e chi più ne ha più ne metta. E mentre gli altri combattono ogni giorno con infortuni e acciacchi vari, Ruben da Alicante lotta come un ventenne, tre metri dietro la linea di fondo, coi suoi cariconi di diritto e quella manica destra arrotolata fino alla spalla, divenuta il suo marchio di fabbrica. Motivo tecnico? Tutt’altro. Risale addirittura a oltre quindici anni fa, ai tempi del suo primo contratto di sponsorizzazione. “Per un errore di comunicazione, mi arrivò solo materiale taglia XL, ma era la prima volta che ricevevo gratuitamente qualcosa per giocare, non me la sentii di chiederne la sostituzione. Così decisi di usare comunque quei completi, e arrotolare la manica era l’unica soluzione per evitare che mi desse fastidio. Poi mi è rimasto il vizio, ogni giocatore ha le sue manie”.
“VADO AVANTI FINCHÈ MI DIVERTO”
Nonostante da qualche anno si sia già costruito il futuro, aprendo ad Alicante un’accademia da oltre 300 ragazzi insieme all’ex ‘pro’ Santiago Ventura, Ramirez Hidalgo vuole continuare a vivere nel presente. Anche se gli costa qualche bugia alla moglie Cristina (conosciuta viaggiando) e alle figlie Martina e Valeria, di sette e cinque anni. “Mi aiutano a dimenticare alla svelta le sconfitte, anche se lasciarle a casa quando parto per i tornei non è per niente facile. All’inizio di ogni stagione gli dico che sarà l’ultima, succede da almeno tre anni. Ma mia moglie sa benissimo come stanno le cose. Mi capisce, mi ha sempre appoggiato, sa che non potrò giocare in eterno”. Tuttavia, anche se le motivazioni non sono più le stesse di quando aveva 25 anni e lottava per vivere di tennis, oggi che ce l’ha fatta è ancora pronto a lasciare l’anima ogni volta che scende in campo. “Il tennis mi ha dato più di quanto avrei immaginato. Ho la fortuna di amare questo sport, che mi ha dato la possibilità di girare il mondo, incontrare persone e giocare tutti i tornei che si vedono in televisione. Un sogno che è diventato realtà attraverso il duro lavoro e l’entusiasmo. Per fare i tennisti bisogna essere disposti a imparare ogni giorno. Il segreto è il cuore, la passione”. Sa di non avere davanti molto, perché se si guarda intorno si accorge di essere il più vecchio rimasto in circolazione. Mai nessuno è andato troppo oltre, ma la cosa non lo preoccupa. “Penso di poter giocare per altri 3-4 anni. Nonostante l’età, non sono ancora stanco di fare questa vita, voglio continuare a divertirmi in campo, a godere di ciò che faccio. Quando non sarà più così, vorra dire che sarà giunta l’ora di dire basta”. E allora sì che il circuito Challenger perderà la sua leggenda. Per il momento, invece, gli amanti dei tornei minori possono stare tranquilli: Ruben vuole continuare a combattere.


