Alcaraz, futurista e funambolo, è l'evoluzione della specie

Riassume le doti dei Fab Four e sa applicare soluzioni vincenti da tutte le zone del campo. Il suo peggior nemico, per ora, sono gli infortuni

foto Ray Giubilo

Proprio così, Carlos Alcaraz è l'ultimo rampollo di una specie in forte evoluzione. Comprendere il suo tennis vuol dire rifarsi a quanto formulato da Charles Darwin a metà dell'800. Poco importa chi fosse l'antenato armato di clava, capostipite dei successivi tennisti del pianeta. Quel che conta, invece, è sapere che il responso più recente della lunga cernita giunge a noi sotto spoglie veritiere di un giocatore del domani, erede predestinato di quel tennis che nei quattro lustri alle spalle ha fatto strike in ogni latitudine.Un giovane ventenne che ha raccolto in sé l'elasticità di Federer, l'agonismo di Nadal, le geometrie di Murray e il pensiero razionale di Djokovic. Un tennista del terzo millennio in cui convive il campione di grandi qualità e l' immagine sbarazzina dell'adolescente sceso in strada per dare quattro calci al pallone.
Questo il sentiment generale, quello che intorno alla metà della scorsa notte ha fatto spalancare gli occhi sulla finale di Indian Wells anche a chi li avrebbe chiusi molto volentieri. Uno spettacolo dominato dal nuovo fenomeno del tennis mondiale. Un match clou consumato ai danni di un Daniil Medvedev già numero uno del ranking e con tre titoli all'attivo da gennaio in qua.
Una lezione di futurismo racchettaro che ripropone, viva Dio, un gioco a tutto campo senza il quale oggi non si può ambire ai grandi traguardi. Con una gestualità ampia o ridotta, secondo le esigenze, Carletto è uno dei rari giocatori in grado di adattarsi a qualsiasi situazioni e a qualsiasi avversario. Un Sapiens evoluto, capace di avere sulle corde sempre la soluzione giusta, dal punto giusto, al momento giusto. Un tennista rivoluzionario che ha ribaltato il concetto di battuta e risposta imprimendo a quest'ultima accelerazioni tali da annullarne il rapporto di sudditanza nutrito da sempre verso l'acchito.
Con perfetta scelta di tempo, lo spagnolo interpreta in modo eccellente il cambio di ritmo, sfoggiando chiusure violente a smorzate spaccagambe di repentina invenzione. Muovendosi a fisarmonica, inoltre, ha la rara sapienza di ampliare la visuale del campo in fase difensiva, come di stringere sui malcapitati rimbalzi contenuti dalla tre quarti in su.Qualcosa che fa di lui una sorta di funambolo in grado di pescare tra risposte motorie imprevedibili e comunque azzeccate.
Insomma il frutto più evoluto del lungo cammino giunge a noi come un meccanismo quasi perfetto. Il quasi ci sta tutto giacché l' hombre giovane della Murcia, già un paio di volte si è fermato per lavori di manutenzione. È sempre tornato più forte di prima, ma gli infortuni, si sa, amano la recidiva e sono comunque una brutta gatta da pelare.Soprattutto in piena carriera e alla rispettabile età di anni venti.

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