Cosa c’è dietro la sesta sconfitta subita da Matteo contro il greco: ecco gli aspetti che hanno fatto la differenza

Appurato che i 27 metri sul livello del mare non facciano di Indian Wells un appuntamento in altura, ogni altra eco circa velocità o lentezza dei campi rimbomba come un alibi di facile presa. Scuse, ad onor del vero, non accampate da Matteo Berrettini e Stefanos Tsitsipas, scesi domenica sera sul perfetto centrale del torneo californiano con l’idea di darsele di santa ragione in barba a chiacchiere buttate lì dai soliti cavillosi.
Lungi da possibili sgravi, dunque, la sesta volta tra i due mirava a essere per l’italiano una risposta energica alla fresca sconfitta patita ancora una settimana fa negli Emirati Arabi proprio per mano del greco. Un confronto diretto che nell’immaginario collettivo aveva assunto anche i tratti di un intrigante contrasto stilistico affidato soprattutto al rovescio classico e creativo dell’atenese opposto all’altro bimane e martellante del nostro connazionale, arricchito di qualche venatura di slice.
Aspettative solo in parte rispettate, giacché una sintesi, forse troppo stringata dei fatti, racconta di una bella versione di Tsitsipas opposta a un’altra appena sufficiente di Berrettini nella quale, fatto salvo il servizio, ha difettato il resto dei colpi. L’acchito da solo non basta e, vista la continua evoluzione della risposta, può aiutare la causa ma non mette al riparo da nulla. Ci vuole anche il resto , quello che ancora manca alla parte sinistra dell’ex n.7 del mondo, un gap colmato il quale la fiducia potrebbe occuparsi del resto! E se quella del rinato acheo svolazza al momento lassù dove osano le aquile, nel romano doc la stessa sembra essere ancora più in fase di accumulo. Una nota positiva giacché non è detto che una volta acquisita, lo stesso confronto non possa offrire lo stesso score ma a ruoli invertiti.