Dopo la prestazione impeccabile contro Rublev, Matteo Arnaldi si presenta in conferenza stampa sereno e rilassato… solo un po più sorridente del solito

foto Ray Giubilo

PARIGI – «Matteò, Matteò…». Hai appena battuto il numero 6 del mondo – e in tre set secchi – il pubblico del “Suzanne Lenglen” ritma il tuo nome, hai solo 23 anni e il 35º posto del ranking ormai ti sta stretto. Chissà cosa si prova, ad alzare le braccia al cielo, a godersi i primi momenti di una vittoria così importante, che ha spalancato al ragazzo di Sanremo le porte degli ottavi di finale, seconda volta in uno Slam dopo gli Us Open del 2023. Alla faccia di noi invidiosi, Arnaldi si presenta in conferenza stampa sereno e rilassato, quasi come se nulla fosse, solo un tantino più sorridente del solito. «La mia partita più bella? Sicuramente in uno Slam. Avevo una tattica in testa, non dargli ritmo, variare gli scambi, comandare quando possibile, e mi sembra che tutto sia andato alla perfezione».

Contro il povero Rublev, apparso nervosissimo sin dai primi scambi, Matteo ha messo in mostra le caratteristiche di un gioco dinamico e micidiale che stiamo imparando a conoscere bene: resistenza, agilità, capacità di contrattaccare e soprattutto una velocità di base impressionante, come conferma quella splendida rincorsa vincente sulla smorzata di Rublev che ha chiuso il primo set. «Non sono ancora riuscito a rivederlo, quel punto – la risposta di Arnaldi – mandatemi il video… Vincere il primo set è stato fondamentale, io poi sono stato bravo a non avere cali, ho anche servito bene nei momenti più delicati (13 ace, ndc). In questi giorni sono riuscito a gestire anche le diverse situazioni di gioco, oggi abbiamo iniziato all’aperto poi il tetto è stato chiuso, ieri invece c’era la pioggia… Insomma, posso essere soddisfatto della mia settimana».
Orgoglioso di far parte di una generazione di giovani campioni che cresce velocemente con Sinner in testa («ci carichiamo uno con l’altro, la vittoria di uno di noi fa bene a tutti»), Arnaldi è stato bravo a non farsi distrarre dalle mattane di Rublev, che nell’ordine ha cominciato a litigare con i raccattapalle già dal primo turno di battuta, poi ha rotto la solita racchetta, con un’altra si è bastonato le gambe, ha provato a strapparsi la maglietta, alla fine si è quasi preso a schiaffi. Questo oltre alla solita ininterrotta litania di domande e imprecazioni verso il suo staff. «Beh, ho cercato di non farci caso – dice Matteo – anche perchè Andrey lo conosciamo bene, spesso si comporta così ed è capace di lanciare un urlo e poi di tirare un colpo vincente. Però, vedendolo e sentendolo reagire in questo modo, la cosa mi ha caricato, mi ha dato più fiducia. Se io rompo le racchette? Adesso molto raramente, da bambino a volte mi capitava, poi però mi dispiaceva troppo. Ricordo ancora la prima volta che ne fracassai una, sono rimasto triste non so per quanti giorni».
Chiusura su Parigi. Che ne dici della città?, gli chiedono. «Piove», la riposta. Sintetico e micidiale, come in campo.