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Seppi d'America: "Se il lockdown dura ancora un po' sono pronto per Master Chef"

Da Boulder, Colorado, Andreas Seppi ci parla della sua nuova vita familiare a tre e dei progetti a medio e lungo termine. Raccogliere la palle da solo in campo, incordarsi le racchette, tutte esperienze già provate. Per Andreas si può riprendere, basta solo un po' di buona volontà

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Andreas Seppi fa perte del gruppo di Italiani d’America del tennis: ormai da tempo si è trasferito insieme alla moglie Michela a Boulder in Colorado, dove a fine febbraio è nata la piccola Liv. A Sarasota, in Florida, vive Paolo Lorenzi, e sempre in Florida, ma a Boca Raton, è per il momento ‘confinato’ Matteo Berrettini.

Andreas, voi ‘espatriati’ vi tenete in contatto?

«Sì, ci sentiamo e ci scriviamo. A febbraio Matteo voleva venire qui in Colorado a sciare con Ayla, purtroppo il giorno dopo hanno chiuso gli impianti e non se ne è fatto nulla».

Da Caldaro a Boulder, sempre montagne. E ti tocca spalare la neve…

«Sì, qui ce n’è davvero tanta. Abitiamo a 2500 metri, ancora a fine marzo c’è stata una nevicata da mezzo metro. Quindi mi sono dovuto dare parecchio da fare».

Come vedi la situazione da lassù?

«L’America è molto grande, ogni stato ha regole diverse. A New York, in California e nello stato di Washington la situazione è molto grave, qui a Boulder i casi sono pochissimi. I negozi sono chiusi, come i palazzetti e i centri sportivi, ma si può circolare senza limitazioni, non è come in Italia».

Riesci ad allenarti?

«Fino a domenica scorsa erano rimasti chiusi i campi pubblici, io sono riuscito a giocare due volte alla settimana su un campo privato insieme a un mio amico. Usavamo sei palle: su tre avevo scritto la S di Seppi e con le mani toccavo solo quelle. Ora forse riuscirò ad andare in un circolo qui vicino, ma allenarsi tutti i giorni non avrebbe neanche senso, visto che nessuno sa se e quando si riprenderà».

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Tu che idea ti sei fatto?

«C’è chi dice che per quest’anno è impossibile, chi che già ad agosto a porte chiuse si ricomincerà. Impossibile capirlo. Ed è davvero frustrante. Recuperare tutti i tornei è impossibile, già sarebbe molto riuscire a giocare quelli importanti».

Si parla addirittura di una edizione indoor degli Internazionali d’Italia, a Milano o a Torino: pro o contro?

«Per me qualsiasi soluzione andrebbe bene. Certo, non sarebbe più la terra battuta a cui siamo abituati. Ma abbiamo tutti voglia di giocare, e penso che la gente guarderebbe il torneo anche se fosse su erba…».

Da veterano ti preoccupa una pausa così lunga?

«Be’, ho 36 anni, a questa età perdere un anno non è il massimo. Per un over 35 ricominciare sarà diverso che per un ventenne, l’importante è tenersi in movimento, senza esagerare».

Tanti tennisti papà dicono di voler continuare per farsi vedere dai figli.

«Mia figlia ha due mesi, quindi dovrei continuare almeno per 3-4 anni: un progetto abbastanza impegnativo, anche se sarebbe bellissimo. Di sicuro se smetterò non sarà perché mi è passata la voglia, ma perché il fisico non ce la fa più o la classifica scende troppo».

Che obiettivi ti sei messo per la ripresa?

«Continuare a giocare bene. Prima dello stop ero arrivato in finale all’Atp 250 di New York. Il ranking non è il massimo (n.88, ndr) ma mi consente di entrare in tabellone negli Slam, e considerato che avevo tanti punti in scadenza a inizio anno va bene così».

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Ora nel team del tuo coach Massimo Sartori c’è anche Marco Cecchinato: girerete insieme per tornei?

«Con Marco ci conosciamo da tanti anni, si allenava a Caldaro quando aveva 18 anni. Dipenderà dalla programmazione, io preferisco il cemento e lui la terra, ma sicuramente dove possibile saremo insieme».

Rimarrai in Colorado o pensi di fare un salto in Europa?

«L’idea era di venire in Europa in primavera. Mia moglie è qui negli States da novembre, pensavamo di prendere un volo il 4 maggio, visto che la situazione in teoria era migliorata, ma ce l’hanno cancellato. Il prossimo da Denver a Monaco di Baviera è il 18 maggio, e contiamo su quello. Abbiamo passato due mesi da soli con la bambina, ed è stato bellissimo, ma c’è anche tanta voglia di rivedere le nostre famiglie. E Liv non ha ancora conosciuto i suoi parenti».

Il tennis non è uno sport di contatto: secondo te è giusto riaprire i circoli, mantenendo condizioni di sicurezza? Le limitazioni che sono state confermate hanno scontentato molti maestri e gestori di circoli.

«In campo si sta molto distanti. Il problema alla fine sono le palline, ma comunque lezione riesci a farla se ti organizzi bene, basta mettersi d’accordo che le palline le tocca solo l’allenatore, o che si personalizzano. Serve un po’ di buona volontà. Tenere ancora tutto chiuso mi sembra esagerato».

Tu saresti disposto a giocare senza raccattapalle?

«L’ho già fatto, nei due Challenger dopo gli Australian Open, a Dallas e Newport Beach: nessun problema. Troviamo delle regole che siano sicure per tutti e non credo che qualcuno protesterebbe».

Hai ricominciato anche a incordarti da solo le racchette.

«Sì, perché ultimamente era chiuso tutto. Nel circolo dove andavo hanno una macchina incordatrice così ho chiesto se potevo usarla. Era tanto che non lo facevo, ma non ho perso la mano».

Da papà e casalingo come va?

«Molto bene. Nel primo mese in realtà non potevo fare molto se non cambiare i pannolini. Ora Liv è cresciuta, inizia a sorridere, e ha preso anche peso. Diciamo che cerco di dare una mano in cucina, visto che mia moglie è impegnata ad allattare…».

Fognini si è esibito nella pasta con il tonno e il pollo alla cacciatora, Berrettini va forte con i tonnarelli cacio e pepe. Qual è il tuo piatto?

«Mi sono studiato alcuni video su YouTube su come imparare a tagliare e a far riposare il filetto. Un tempo mi limitavo a cucinarmi una pasta, ora con la carne sono migliorato alla grande. Se il lockdown dura ancora un po’ potrei essere pronto per Master Chef».

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