Se è vero che la prestazione di Sinner in finale con Alcaraz non è stata delle sue migliori, nessuno deve permettersi di criticarlo per l’impegno e il carattere che ha comunque espresso

Strani tipi, noi bipedi del Vecchio Stivale! Persi nella nostra emotività tutta latina, viviamo il presente tra sentimenti ondivaghi che, secondo i fatti, vanno dalle stelle alle stalle con grande facilità, senza che il buonsenso giunga a suggerire pensieri più morbidi da calare nel mezzo.
Ne sa qualcosa il Sinner di questo secondo lunedì settembrino, colpevole, secondo molti, d’essere uscito sconfitto dall’immenso Arthur Ashe di Flushing Meadows. Stando così gli animi, in una notte l’atesino è passato da osannato leader della classifica mondiale a mercenario dai mille sponsor fino a tennista privo di servizio utile a dire la sua tra quelli che contano. Lontana è la vittoria londinese di metà luglio, come remoti suonano i disgraziatissimi match point della finale parigina finita come sappiamo.
Per quanto mi riguarda, il nostro portabandiera ci ha messo cuore, attributi e quant’altro necessario a onorare, da campione uscente, il major della Gande Mela. Tanto basta per affrancarlo da critiche di facile presa. Per una prestazione che non è stata una delle più brillanti della sua splendida carriera ma che Jannik ha onorato con la compostezza e lo smalto del campione di razza.

